Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

lunedì 27 gennaio 2014

Faccio memoria

In questa giornata, nella quale tornano forti idee e sentimenti di un’epoca un po’ più in là, vorrei anch’io fare brevemente memoria.

Correva l’estate 2003 e la Polonia diventava per me improvvisamente più vicina: un campo di lavoro ovvero lo scavo di una buca per le tubature dell’acqua; molta amicizia ovvero un gruppo di ragazzi aggregatisi tra Roma e Verona (isola, la Sardegna, compresa); la formazione spirituale ovvero l’epoca del mio impegno parrocchiale. E alla fine di quei dieci giorni di divertimento, viaggi, lavoro duro, preghiera e comunità, sulla strada del ritorno ho fatto tappa nel paese delle betullle, Oswiecim, meglio noto come Auschwitz (più la vicina Birkenau).

Dopo la visita, in una caldissima serata d’agosto, praticamente in orario di chiusura, a quel grande blocco di concentramento, lavoro, sterminio e morte, dormimmo solo poche ore, perché il mattino successivo verso le quattro bisognava rimpatriare.

Quello che mi colpì di più non furono le immagini di morte.
Ad esse ero già preparato. Intorno ai dieci anni ricordo di aver visto insieme a mio nonno la serie di documentari americani che la Rai trasmise a fine anni anni Settanta sulle fosse comuni naziste e altre atrocità ad esse collegate; in terza media avevo letto, ma non compreso fino in fondo, la testimonianza di Primo Levi; alle superiori mi appassionai definitivamente alla storia contemporanea e ripercorsi, nelle pagine del Guarracino, gli eventi del gennaio 1945; l’università mi permise di studiare e di apprezzare fino in fondo un uomo straordinario come Primo Levi, del quale quando (come oggi, 27 gennaio 2014, a scuola con i miei studenti di seconda media) ascolto queste parole non posso che sentirmi chiamato in causa, nonché sentirlo ancora vivo (... lui che ci ha abbandonato troppo presto e male).

Senza capirne il motivo, di quel giorno ho sempre conservato il ricordo di tre cose, apparentemente scollegate tra loro. Tutte e tre ebbero però come scenario proprio quel luogo così unico al mondo: il viso preoccupato e arrossato di un’amica che aveva rotto sentimentalmente, non da molte settimane, con un mio amico; i sogni-incubi raccontati attraverso inquietanti disegni da un sopravvissuto; un cortile di Auschwitz nel quale padre Massimiliano Kolbe (uno di quei personaggi che, quando ero bambino, sentivo sempre osannare) aveva, con un gesto memorabile, incrinato per la prima volta le rigide regole e la non umanità di un lager tedesco.

La Memoria è fatta così: taglia, cuce, seleziona, associa, come neanche il migliore dei registi (forse esagero) è in grado di fare. E' allo stesso tempo un fatto personale e collettivo.
Oggi finalmente, scrivendo queste righe, mi sono dato una risposta. Per me la Memoria è una cosa viva, che permette a chi la testimonia di lasciare un messaggio di vita... come quando una nonna racconta la sua vita ad un nipote, lasciandogli più di una semplice testimonianza, lasciandogli in custodia una parte di sè... oltre ad avergli magari già garantito, proprio in quegli anni di guerra, la possibilità di nascere qualche anno dopo.

Eh sì la vita, la vita con i suoi inequivocabili e a volte indecifrabili messaggi. Giusto il contrario di quanto videro quel 27 gennaio 1945 i militari russi abbattendo i cancelli di Auschwitz.

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