Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

martedì 30 dicembre 2014

LETTURE - Le lacrime di Nietzche

Le lacrime di Nietzsche
Yalom Irvin D.
Neri Pozza Editore, 2006
(collana I Narratori delle tavole)

Romanzare la psicoanalisi può dare i suoi frutti. Un po' come una seduta ben riuscita...
Yalom apre con Nietzche una splendida trilogia dedicata ai filosofi e ci conduce (come in un prequel si direbbe oggi, mutuando il linguaggio cinematografico) alle origini della psicoanalisi nella Vienna capitale mitteleuropea di fine Ottocento.
Gli ingredienti sono semplici: due uomini (un medico e un filosofo), due donne fatali (una imperturbabile, una isterica) che incrociano o meglio sovrappongono i loro destini, da decodificare in quella che di lì a poco (grazie all'astro nascente di Freud) diventerà la lettura psicoanalitica (sogni compresi).


Basta leggerlo piano piano (io ho scelto di fare così, perchè in questo volume la scrittura di Yalom fluisce un po' più lenta del suo solito, quasi fossimo comodamente seduti sul suo lettino... o fossimo diventati il fantomatico Max confidente del dottor Breuer), piano piano come le lacrime che alla fine solcano leggere le guance di Nietzche, che seppur avviato da lì a poco a "partorire" Zarathustra, sa, almeno nelle pagine di Yalom, cedere lentamente alla commozione e al potere dell'amicizia, senza dimostrarsi sempre spietato come nei suoi celeberrimi aforismi.


E la raccolta dei frutti, della quale parlavo nel mio incipit, la trovate nella nota finale, quella che conclude il volume e ci congeda dal dottor Breuer e da Nietzche che nella realtà non si sono mai incontrati. Capiamo così bene lo spirito (terapeutico!) che anima Yalom nelle sue opere e ciò è molto istruttivo per entrare in quello "scrittoio" dell'autore che continuerà con Schopenhauer (e la terapia di gruppo) e con lo straordinario Spinoza (tra ascesa dell'assolutismo nazista contrapposto alla libertà assoluta e al rigore morale dell'etica ebrea in chiave spinoziana).


Romanzare la filosofia può dare i suoi frutti: ci verrà voglia, almeno per un istante, di molare le lenti ad Amsterdam insieme al vecchio Baruch, di farci consigliare direttamente da Schopenhauer per la soluzione dei nostri conflitti anche più spinosi, di cenare insieme al dottor Breuer e, solo dopo il dolce (la tradizione pasticciera viennese non tradisce), abbandonarci con Nietzche ad un pianto (quasi) liberatorio.

lunedì 29 dicembre 2014

LETTURE - Un'idea di destino



Un' idea di destino. Diari di una vita straordinaria
Terzani Tiziano
(a cura di Loreti A.)
Longanesi Editore (collana Nuovo Cammeo)


Tiziano Terzani, che ha sempre saputo scrivere e raccontare con passione, traccia in questa sua opera postuma una splendida parabola.
Si comincia dagli Ottanta, alle latitudini cinesi, per arrivare fino al fatidico 2004, quando troppo presto, ma inevitabilmente ci ha salutato.

Secondo me Terzani è uno di quegli autori da leggere interamente perché la passione del racconto, alla quale mi riferisco sopra, è sempre straordinaria e gli viene dal sentirsi testimone privilegiato di ciò che vive, ogni giorno, ovunque si trovi. Terzani è sempre Tiziano, fin da quando si forma a Firenze o passa attraverso il "mitico" percorso dell'Olivetti. Il caratteraccio, il piglio indomabile sono sempre quelli.
Certamente il mondo orientale, quello della Cina, del Giappone, dell'India, dell'Indocina, per non parlare dell'URSS o di quello che ne rimane, diventano ad un certo punto le sue mete privilegiate.
Ma in queste sue pagine più private e intime - se vogliamo - ma forse non poi così tanto più trasparenti di quelle delle sue opere maggiori, capiamo comunque meglio come sono nati i suoi capolavori: dal non fermarsi mai. Fino alla "fine" (che non a caso è stato da lui stesso battezzata circolarmente come il suo inizio) Terzani si è interrogato, lacerato, diviso e ricompattato dietro all'idea di essere almeno in parte padrone del proprio destino, anche nella semplice accettazione della propria malattia e delle proprie inquietudini caratteriali (o quantomeno nella ricerca dell'accettazione stessa).


Per chi vuole leggere Terzani (e non tutti lo amano sia chiaro), il primo problema è soprattutto da dove cominciare. 
Dal "classico indovino", che mantiene, tutto sommato, per tutto il libro una freschezza di lettura che altre sue opere al primo impatto non sempre garantiscono?
Dalle "lettere contro la guerra", che sono certo una degna risposta alla Fallaci (altra autrice da leggere, secondo me, anche se non la amate) ma che sono forse un po' prevedibili e ingessate rispetto ad altre opere molto più... "agguerrite"?
Da oggi, ho un dubbio in meno in merito: il mio consiglio ricade su questi diari postumi. Perché?
PERCHE' IO di Terzani non ho letto ancora poi così molto e in queste pagine c'è un po' tutto concentrato. Insomma, non me ne sono ancora occupato così a fondo e non ho nemmeno avuto il piacere di incontrare lui o chi di lui può tracciare un ritratto molto più fedele di queste mie poche e sbrigative righe di "blogger della domenica"...


... MA IO in questo comporre e ricomporre, partire e ripartire lungo le vie del mondo (specialmente orientale) dove il senso del viaggio è il viaggio stesso, ritrovo quella voglia della scoperta e della testimonianza che è in definitiva la base imprescindibile della scrittura e della lettura.

...ma questa è tutta un'altra storia, che mi fa pure scendere una lacrima. Magari un giorno, quando i miei capelli saranno bianchi come lo sono stati quelli di Terzani, ve la racconterò. Intanto buone letture!

sabato 27 dicembre 2014

Letture e riletture

Vacanze natalizie... tempo di ozio!


Il vero otium però (quello che ai tempi di Cicerone si contrapponeva al negotium) non è il dolce far niente. E' piuttosto lo "staccare la spina" dal lavoro per accendere invece quella delle (buone) letture, dell'esercizio fisico e di quanto può temprare lo spirito.
Io, per non sbagliarmi, mi sto dando anche all'ozio più moderno, quello del letto-divano-letto, ma qualche buona lettura e un po' di (sano) esercizio non me li nego.

Le vacanze diventano così tempo di letture e riletture.


In quanto a letture intendo presto finire (e poi magari commentare sul blog) le pagine di...

Terzani

Yalom

Starnone


Geda


e magari anche quelle di qualche altro titolo. Ultimamente ho cambiato approccio: intanto un libro lo comincio, poi per finirlo c'è tempo... poco!



E infine sto scoprendo il piacere della rilettura, magari mirata, molto utile tra l'altro per mantenere viva (e corretta) la memoria di alcuni autori e per magari ricavarne spunti interessanti per la conversazione con gli amici (o con gli alunni!).


Come, scrivevo a mio fratello... non so se vi capiterà di leggere o rileggere Luigi Meneghello.
E' uno scrittore difficile, ipercolto, vicentino (!). Io, da "bravo" prof di lettere, ogni tanto me lo rileggo e vorrei riproporne alcuni passaggi celebri, passaggi tratti dal suo capolavoro Libera nos a Malo, dove Malo è Malo Vicentino e dove si gioca col dialetto (e col latino "storpiato" del Padre Nostro), insomma con la memoria di un mondo contadino, quello del Paese (il tipico paese veneto di campagna tra le due guerre) dal quale liberarsi, liberando i ricordi stessi.

La geografia del vicentino e un po' di sana ironia sul Fascismo
"Ma tu l’hai poi fatta sul serio la marcia su Roma?" domando improvvisamente a tavola.
“Solo fino a Isola”, dice mio padre. Isola è a quattro chilometri da qui, in direzione sud. Dunque era sulla strada giusta. “A Isola ho detto che avevo il bambino malato, che eri tu, e così sono tornato a casa. Anzi c’era anche coso, come si chiama, che ha approfittato anche lui dell’occasione per tornare indietro. Ha detto che aveva il mal di pancia. Però il mio posto lo ha preso tuo zio Ernesto.”

“Allora lo zio sì che l’aveva fatta, la marcia su Roma.”

“Sì,” dice il papà, “lui è andato avanti con gli altri al posto mio.”

“Insomma lui a Roma c’è andato per davvero.”

“Ah, a Roma no. Si sono fermati due giorni a Vicenza e dopo sono tornati a casa.”

Vicenza è a sedici chilometri, sempre nella direzione giusta.


Meneghello celebra la bici
Qui a Monte di Malo si veniva ad allenarsi in bicicletta, o direttamente, o per Priabona, o per San Vito. Di ogni percorso esistevano primati stagionali, mensili e settimanali che importava battere. Le arrampicate erano faticose e piuttosto solitarie.
La loneliness del long-distance runner non è niente di fronte a quella dell'aspirante routier che s'allena per il giro di Francia. in verità questa solitudine è orribile; lo sforzo sparge veleno in ogni parte del corpo, il dolore serpeggia ora al centro del petto, ora a sinistra dove c'è il cuore che si sente chiaramente trapassare da aghi infetti. S'intorce un cordone di muscoli, poi un viscere della pancia, poi una vena del collo.

Nel dolore di una vena del collo arroncigliata c'è qualche cosa di schifoso, perché l'avvelenamento ha raggiunto i centri nervosi. Il ciclista ipnotizzato si agito in modo meccanico e imprevedibile, e le sue convulsioni spingono come per caso la bicicletta. Tutto ciò si percepisce come una forma di solitudine.

Tale è l'esperienza del routier in salita, impegnato a non fermarsi fino in cima, anzi nemmeno in cima, quando la bicicletta per incanto s'alleggerisce, comincia a scendere da sé, trasporta filando con un dolce brusio il ragazzo semisvenuto che ridesteranno i pizzicotti del sudore rasciugato dal vento.

A volte infliggevamo anche ai piccoli questo supplizio sulle salite più modeste. Gaetano giovanissimo fu indotto a salire con noi a Priabona sulla sua biciclettina: molto prima di arrivarci era già tramortito, non sentiva più gli incoraggiamenti dei suppliziatori; noi del resto ci eravamo già pentiti, capivamo di aver ecceduto. Arrivò in condizioni che non è opportuno descrivere.

Senza dire nulla a nessuno mi portai Bruno, forse tredicenne, alla più atroce delle prove in salita, il "Passo", tra il Pasubio e il Cornetto. Era già eccezionale che lo facessi io adolescente; sapevo che con Bruno saremmo arrivati allo stremo. Per incoraggiarlo gli diedi la Ganna col ventiquattro, che è un rapporto strapotente, e mi presi la inadattissima Schwalbe della mamma. Affrontare il Passo con una bicicletta da donna era un'impresa azzardata; ma io, seguendo Bruno a ruota per incitarlo, non ci badai. Il problema era lui. Dopo avermi molto spaventato negli ultimi chilometri, le crudeli e affascinanti rampe dal Ponte Verde al Passo, Bruno arrivò.

C'è una rampa finale di un centinaio di metri che si scarica sul Pian delle Fugazze; Bruno parve più volte sul punto di spegnersi, ma riuscì con lenti, dolorosi ghirigori a spostarsi fino alla cima. C'era un mucchio di ghiaia a destra, proprio dove la strada si spiana, la bicicletta andò a caderci sopra, e Bruno anche.

Giaceva di fianca sulla ghiaia stringendo fieramente il manubrio, coi piedi nei fermapiedi, e tremava. Aveva gli occhi chiusi, e pur tenendo la bocca aperta, pareva che non riuscisse più a respirare. Ricordo distintamente di avere pensato: "Ha fatto il passo" prima di pensare: "Ora muore".

Atìmpuri, ovvero un efficace spaccato del senso religioso ed etico di un tempo
Atinpùri! Per la prima comunione che si faceva in chiesa a sette anni, ci vestivano da marinaretti; e le bambine in bianco. Quando venne il mio turno e dovetti andarmi a confessare per la prima volta, mi era ben chiaro che dovevo confessarmi anche delle brutte cose, anni e anni, una vita intera di brutte cose: ma come, con che parole? Me lo insegnò la Norma….mi confidò la formula con cui ci si confessa. La imparai bene a memoria e a suo tempo la ripetei al prete: “Atinpùri”.
Agli adulti e ai preti il gioco creduto segreto era notissimo; ma lo chiamavano così.

E poi ci sarebbe da recuperare la bella intervista di Paolini.


Ma anche Balasso ne ha proposto un reading, come solo il buon Natalino sa fare.


Comunque sia, buone (RI)LETTURE a tutti. (clicca per saperne di più sulla rilettura)


sabato 20 dicembre 2014

Aggiornamento dall'Australia #2

In passato in Australia (e nei pressi) ci finivano i peggiori, o presunti tali, come riecheggiato in queste celebri (e amabilissime) note...


Andare in Australia oggi è soprattutto un'esperienza di vita, oltre che di viaggio. L'Australia per me ha a che fare con Lost e con il football australiano, due aspetti che hanno reso molto più "social" la mia esistenza. Chissà cosa accadrebbe se partissi anch'io...

Scrollando un po' scoprirete cose interessantissime grazie a VANOOGER.

Ora vi lascio però ancora nelle sapienti mani di Jacopo e Lisa.

Una settimana fa siamo arrivati nel paesello di Merrigum a due ore di treno e bus da Melbourne. Questo paese è al centro del nulla, nei dintorni si stende una campagna secca e giallastra.


Siamo alloggiati nel Merrigum Caravan Park in uno spartano bungalow di lamiera con un letto a castello un mobiletto e un frigorifero. A disposizione degli ospiti, tutti lavoratori nelle fattorie circostanti e provenienti da ogni parte del mondo, una cucina sotto una tettoia e bagni con doccie ecc.
Merrigum conta 621 abitanti al censimento ma immagino abitino in una area molto vasta, ne avrò visti si e no 10 in giro per le strade in questa settimana. Il paese grande più vicino è Shepparton a soli 30 km di distanza. A Merrigum c'è un piccolo bar/tavola calda/negozietto di alimentari molto caro, un pub dall'aria dimessa e una piscina pubblica. Per fare la spesa bisogna andare fino a Shepparton.

Al momento stiamo lavorando in una fattoria, di proprietà di un indiano, raccogliendo le albicocche. Si lavora dalla mattina fino alle 14 circa dopo è troppo caldo per continuare. Riguardo alla temperatura dalle 12 in poi fa caldo ma dal tramonto in poi scende il freddo, freddo a tal punto che abbiamo dovuto comperare delle coperte.
L'atmosfera generale che si respira da queste parti è di abbandono e incuria almeno per quanto concerne i campi prospicenti alle case, in cui ci sono automobili abbandonate, pezzi di macchinari agricoli e altro ciarpame assortito. D'altro canto le strade sono comunque pulite e non c'è sporcizia in giro; le case in particolare sono ben curate e con verdi praticelli davanti.
Gli australiani sono tutti molto cortesi e cordiali, in particolare in questo piccolo paese.

Mucche australiane sparse in tutta la zona
e pitturate da artisti locali per rendere omaggio
alla fiorente industria casearia locale


Se non l'avete ancora letto: Aggiornamento dall'Australia #1

giovedì 18 dicembre 2014

CHRISTMAS TIME - Una slitta per amica

Se a Natale non sapete cosa regalare, il regalo preparatelo voi. Bastano carta, penna, un po' di fantasia e di determinazione. E così il vostro racconto di Natale sarà pronto. Piegatelo, imbustatelo e scrivete pure direttamente sulla busta i vostri auguri. A proposito... buon Natale! 2.0? No! 25.12!


E' da tanti anni che non vado più montagna.
Non sono ancora così vecchia da non poter sfidare la gelida neve e lo scivoloso ghiaccio, è che Paolo preferisce gli sci. Paolo - di sicuro non lo riconoscereste - ora è diventato grande.
Fuma, anche se non si dovrebbe, e si è fatto un bel ragazzo, un ragazzo capace di avere anche tre fidanzate - e questo si dovrebbe fare ancora di meno - senza farsi scoprire da nessuna di esse.
Glielo dicono tutti i giorni i suoi genitori che deve mettere la testa a posto!
Anch'io, a modo mio gli ho sempre voluto bene, ma non gliel'ho mai potuto confessare: ogni volta che arriva Natale un brivido percorre sempre la mia invidiabile intelaiatura.

Quando era piccino, invece, di fidanzate neanche l'ombra. E a ben vedere, neanche con gli amici le cose andavano così bene. Il carattere di Paolo era chiuso, spesso e "volentieri" scontroso; tutto ciò si complicava di parecchio durante le feste di Natale, perché Paolo non amava la falsa gentilezza di tanti che solo in quel periodo dell'anno si preoccupavano di lui e lo cercavano per fargli gli auguri.
Tutto cambiò il giorno di Natale di vent'anni fa, quando, modestamente, entrai in scena io, Filippa la Slitta.
Paolo si aspettava ben altro - lo devo confessare - ma io, tutta infiocchettata d'oro e di rosso, colpii immediatamente la sua attenzione, proprio io che ero stata posta con cura sotto l'albero tra il maglione nuovo per papà e il profumo francese per mamma.
Il primo Natale trascorso con Paolo, come poi molti altri dei seguenti, furono davvero speciali. Il venticinque sera, dopo aver passato a tavola prima e a letto poi gran parte della giornata, Paolo preparava con entusiasmo le valigie, accompagnato dal suono delle classiche canzoni di Natale ma anche di quelle più pop e beat che rinverdivano con il loro suono ritmato la tradizione di campane e campanellini.
Destinazione... montagna!
Eh sì, la montagna è sempre stato il mio regno, almeno finchè Paolo - ve l'avevo già anticipato - non ha imparato a sciare... meglio di un maestro di sci!

Adesso, infatti, vivo in una cantina, ma almeno hanno scelto per me un posto speciale, non troppo umido, e mi hanno pure "imbalsamato" con cura. Mi sento importante... come un faraone egiziano!
L'unica cosa che ho sempre malsopportato è che, una volta uscita dalla fabbrica di slitte, nessuno abbia mai pensato di cambiare il mio nome. Filippa è certo un bel nome, un nome che riecheggia il mondo greco, che richiama le modelle, di quelle che per la loro silhouette compaiono in tv o sfilano sulle passarelle di moda. Ma Filippa... la Slitta... no, proprio non l'ho mai sopportato!










Ecco, io ho provato a scrivere il mio, ma per andare sul sicuro pescate dal tweet qui sotto. Non ve ne pentirete.

giovedì 11 dicembre 2014

POESIE - Per cogliere l'attimo

Diceva Neruda (oltre al fatto che di giorno si suda...)

« Queste memorie, o ricordi, sono discontinue e a tratti si smarriscono perché così appunto è la vita... La mia vita è una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta. »
(Pablo Neruda, nota introduttiva di Confesso che ho vissuto)

Scrivere (o lèggere) poesie ogni tanto, quando ne trovo il tempo e la disposizione d'animo, mi aiuta molto a cogliere quell'attimo del presente o anche del passato che, talvolta anche inconsapevolmente, ha lasciato un segno in me. Spesso non sono in grado di dire se quell'attimo o quel segno siano stati importanti o meno. Forse lo scoprirò solo vivendo...



... o forse quel ricordo finirà col non significare niente e quell'attimo sparirà per sempre.
Poco importa. Intanto, in qualche modo, l'attimo l'ho fissato in questi versi.


Dopo aver letto il bel libro di Massimo Gramellini si sono aperti in modo casuale alcuni cassetti della mia memoria, nei quali sono stivate sensazioni che sicuramente ho rimosso ma che - ho anche capito - non spariranno mai del tutto.

FAI BEI SOGNI

Forse il passato non mi perseguita più
Anche se a volte ricorre beffardo.
In sogno riappare distinto un ricordo

Brutto: il grigiore, io sempre solo, a fondo.
E non sono così pronto a incontrarlo.
Infine mi risveglio, dubbioso

Sul da farsi della giornata.
Ora comincia la vera sfida.
Gioca bene perciò le tue carte
Non sono poi molte le mani rimaste.
Intanto così ho ritrovato fiducia.



Secondo me, lo scambiarsi delle idee non banali, il confrontarsi sia sulle cose serie e sia su quelle facete, aiuta ad amare e ad accettare gli altri e noi stessi. Nelle pagine che leggo o che scrivo mi piace, quando possibile, ritrovare un po' di tutto questo. E anche un po', da novello Narciso, specchiarmi.

PAGINE

Parlo con leggerezza…
Con i libri che mi hanno accompagnato
ti scrivo lettere piene di me.


I bei fiori della nostra crescita,
l’ego orientale e viscerale,
il mio mondo colorato di giallo,
il tuo, arancione, dell’avventura,
il nostro lavoro, tracce di musica.

Tu mi risponderai con leggerezza?
Illuminerai passato e presente
per un cuore che cova il futuro?
Ti leggo e ti rileggo tra le righe
e ripenso al tuo sorriso capace
ogni tanto di sfogliare, filosofo,
le pagine del cuore.

Teniamoci in contatto.
Le scovo in queste lettere leggere
le pieghe della vita,
lettere piene di te, di me, di
noi?




A certe latitudini la guerra non ha smesso di infuriare. Fa comodo pensare che alla base ci siano semplicemente motivi religiosi e che le ragioni siano sempre altre. A ben vedere, i conflitti sono invece lì fuori, appena un passo dalla soglia di casa nostra. Il fatto è che, al di là di dove si trovino, nascono dentro di noi. E se lì, nel nostro intimo, può arrivare la poesia, speriamo che essa sappia sempre toccare le corde giuste. A me piace pensare alla poesia come a un piccolo seme di speranza, come nella celebre storiella ripresa da Bruno Ferrero.


SEME DI TERRA

La bufera infuria
su terre lontane,
lidi che il mare
accarezza malvolentieri.

Mare che ospita il male,
il male banale
il male violento
senza speranza.
Corrono i bambini sulla spiaggia
un gioco meno innocente li prende.

La terra s'abbuia
inondata dalla guerra,
il suo viso vitreo incornicia
un ampio sorriso di pietra.

Guerra che chiama la guerra,
tra sassi e bombe cade
tutto ciò che di buono era nato.
S'alzano così impenetrabili muri d'odio
l'ignoranza cementa vili interessi.

Io allora ci ho provato
qualche volta
a volare lassù
a gettare un minuscolo
sguardo dall'alto.
Ma incombono altre lotte,
si scorgono laggiù
sotto il cappello celeste.

Sì... la notte è ovunque
non abita solo terre lontane,
regala riposi brevi e fugaci
succede tramonti senza orizzonte.

Tu... sei ancora un piccolo seme
ma dai poteri straordinari
quando in noi trovi il terreno più adatto.



In fondo, come sostiene Luciano Ligabue, cantandolo nella sua ultima hit, "Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, sogno sempre i sogni a fare la realtà". Vorrei perciò congedarmi così.

Questa piccola storia (cliccate nel tweet e leggetela, mi raccomando) mi piace tanto, un po' perchè siamo in Valpolicella, una terra veramente splendida che spero non venga lasciata in balìa di un destino poco poetico, un po' perchè il figlio dei protagonisti (che ho conosciuto) è stato un mio alunno in prima media a San Pietro in Cariano, molto di più perché per me essa rappresenta quel giusto mix di sogno e poesia che un giorno o l'altro spero tanto io possa trapiantare anche nella mia di... vigna.
Magicabula!