Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

venerdì 31 gennaio 2014

[RePost]: Momenti di trascurabile felicità


Riadattato da quanto già pubblicato su Posterous, #MomentiDiTrascurabileFelicità, June 24 2012, 3:34 PM


Potrebbe essere un gioco da riscoprire.

Potrebbe essere semplicemente l'occasione per scoprire meglio la personalità di quanti ogni giorno vi circondano, a casa, al lavoro, o dove preferite stare.

Quantomeno è già stato un libro di (discreto) successo.







Tali momenti di (anche non) trascurabile felicità, li raffiguro volentieri tramite una farfalla, capace di colorare e rallegrare brevemente la nostra giornata, per poi, magari, svolazzare altrove...

Ecco, dunque, un'approssimativa e (molto ma molto) rivedibile top ten in materia. Essa è nata dalla passione di alcuni amici ritrovatisi a vivere una... trascurabile... domenica in allegria.

Number Ten
Ti svegli: l'ansia, il sonno, l'insoddisfazione ti assalgono... ma... caspita... è domenica! Buon relax...

Number Nine
Sono scattati i saldi, ma tu - come al solito - ti muovi in ritardo. Ma, arrivato al negozio, scopri che c'è esattamente ciò che cerchi... e proprio della tua misura!

Number Eight
La fila per entrare allo spettacolo è lunga, ma tu hai ricevuto in omaggio uno speciale biglietto di ingresso che ti catapulta subito all'interno. Come a Gardaland! Ma lì, il biglietto, lo paghi...

Number Seven
E' di nuovo fila... questa volta per andare al bagno... Caspita, oggi la coda non c'è! Ed è subito acqua!

Number Six
Il frigo è quasi vuoto. Hai deciso che devi prima finire, a tutti i costi, quello che esso contiene da ormai troppe settimane. Improvvisamente... no, ma ditemelo prima... hai gente a cena! Incredibile: tutti mi hanno fatto i complimenti per gli ottimi abbinamenti culinari!

Number Five
Piove, guarda come piove, senti come viene giù! Cielo! Finalmente l'auto riprende un po' di... lustro!

Number Four
Pur immemore da ormai troppi anni degli insegnamenti della scuola guida, ti ricordi finalmente di utilizzare anche il freno motore per rallentare la tua corsa prima del semaforo rosso. Ed è subito verde!

Number Three
Di corsa, come al solito, perchè - vedi sopra - ti muovi in ritardo e arrivi all'ultimo minuto... all'appuntamento. Il parcheggio è strapieno. Ma non per te che di secondo nome fai... Gastone!
Number Two
Ti stai gustando una bella minestra e qualcuno ti impedisce di tirare su dal piatto. Ma provvidenzialmente suona il telefono e quel qualcuno, al(la) quale devi da ormai troppi anni ottimo cibo, vestiti lindi e stirati, nonché l'ostilità della tua dolce metà, va a rispondere, lasciandoti il campo, o meglio la tavola libera. Dedicato a chi è del cancro e vive la condanna di essere considerato un segno zodiacale mammone. 

Number... One!
E ora tocca a voi! Se avete visto anche voi passare da poco una siffatta farfalla, scrivete, per favore, nel box sottostante (quello dei commenti al post) il vostro personale #MomentoDiTrascurabileFelicità.


[click per un piccolo bonus]


martedì 28 gennaio 2014

[RePost]: ALIBI da (ri)vedere

riadattato da quanto già pubblicato su Posterous, January 14 2013, 2:17 PM by Luca Guerreschi


A tutti capita un periodo di crisi o di semplice smarrimento. C'è anche chi come me, quando è smarrito, dimentica di dire cosa ha smarrito o cosa lo mette in crisi. Potrebbe essere il semplice desiderio di trovarsi altrove?
Eh, si... alzi la mano, o si faccia avanti, chi non vorrebbe riprovare, grazie alla macchina del tempo, a correggere il tiro di qualche azione passata o a proiettarsi già nel futuro, o più pragmaticamente (senza ricorrere a vetuste o innovative tecnologie) viaggiare nel presente per trasferirsi a qualche altra latitudine (realmente o anche solo grazie a una canzone).




In latino altrove suonava alibi, che, oltre ad essere un avverbio, è un classico ingrediente dei racconti gialli e polizieschi.





Forse la vera questione da affrontare, per uscire con un minimo di ottimismo da questi ultimi anni per certi versi molto difficili sia nel privato che nel pubblico, è però un'altra.


La cultura degli alibi



A tal proposito ci viene in soccorso un intervento (ormai un classico da vedere e rivedere) firmato Julio Velasco, il vero unico grande comunicatore del Nostro Paese: nato nella (neo)latina Argentina (molto prima di Belen Rodriguez che al massimo ci ha richiamato allo studio della perifrastica in un ormai datato spot televisivo), Julio ci ha spiegato una volta per tutte come si fa (ma davvero) a risolvere i problemi. Rimboccandosi le maniche. Facendolo bene, il proprio mestiere.







Insomma, non cercandoli, gli alibi!

lunedì 27 gennaio 2014

Faccio memoria

In questa giornata, nella quale tornano forti idee e sentimenti di un’epoca un po’ più in là, vorrei anch’io fare brevemente memoria.

Correva l’estate 2003 e la Polonia diventava per me improvvisamente più vicina: un campo di lavoro ovvero lo scavo di una buca per le tubature dell’acqua; molta amicizia ovvero un gruppo di ragazzi aggregatisi tra Roma e Verona (isola, la Sardegna, compresa); la formazione spirituale ovvero l’epoca del mio impegno parrocchiale. E alla fine di quei dieci giorni di divertimento, viaggi, lavoro duro, preghiera e comunità, sulla strada del ritorno ho fatto tappa nel paese delle betullle, Oswiecim, meglio noto come Auschwitz (più la vicina Birkenau).

Dopo la visita, in una caldissima serata d’agosto, praticamente in orario di chiusura, a quel grande blocco di concentramento, lavoro, sterminio e morte, dormimmo solo poche ore, perché il mattino successivo verso le quattro bisognava rimpatriare.

Quello che mi colpì di più non furono le immagini di morte.
Ad esse ero già preparato. Intorno ai dieci anni ricordo di aver visto insieme a mio nonno la serie di documentari americani che la Rai trasmise a fine anni anni Settanta sulle fosse comuni naziste e altre atrocità ad esse collegate; in terza media avevo letto, ma non compreso fino in fondo, la testimonianza di Primo Levi; alle superiori mi appassionai definitivamente alla storia contemporanea e ripercorsi, nelle pagine del Guarracino, gli eventi del gennaio 1945; l’università mi permise di studiare e di apprezzare fino in fondo un uomo straordinario come Primo Levi, del quale quando (come oggi, 27 gennaio 2014, a scuola con i miei studenti di seconda media) ascolto queste parole non posso che sentirmi chiamato in causa, nonché sentirlo ancora vivo (... lui che ci ha abbandonato troppo presto e male).

Senza capirne il motivo, di quel giorno ho sempre conservato il ricordo di tre cose, apparentemente scollegate tra loro. Tutte e tre ebbero però come scenario proprio quel luogo così unico al mondo: il viso preoccupato e arrossato di un’amica che aveva rotto sentimentalmente, non da molte settimane, con un mio amico; i sogni-incubi raccontati attraverso inquietanti disegni da un sopravvissuto; un cortile di Auschwitz nel quale padre Massimiliano Kolbe (uno di quei personaggi che, quando ero bambino, sentivo sempre osannare) aveva, con un gesto memorabile, incrinato per la prima volta le rigide regole e la non umanità di un lager tedesco.

La Memoria è fatta così: taglia, cuce, seleziona, associa, come neanche il migliore dei registi (forse esagero) è in grado di fare. E' allo stesso tempo un fatto personale e collettivo.
Oggi finalmente, scrivendo queste righe, mi sono dato una risposta. Per me la Memoria è una cosa viva, che permette a chi la testimonia di lasciare un messaggio di vita... come quando una nonna racconta la sua vita ad un nipote, lasciandogli più di una semplice testimonianza, lasciandogli in custodia una parte di sè... oltre ad avergli magari già garantito, proprio in quegli anni di guerra, la possibilità di nascere qualche anno dopo.

Eh sì la vita, la vita con i suoi inequivocabili e a volte indecifrabili messaggi. Giusto il contrario di quanto videro quel 27 gennaio 1945 i militari russi abbattendo i cancelli di Auschwitz.

mercoledì 22 gennaio 2014

[RePost]: Omaggio alla Valpolicella

già pubblicato su Posterous, June 14 2012, 4:14 PM by Luca Guerreschi

Finché il mio fisico, in verità non più giovanissimo, mi permetterà di continuare a praticare il mio footing settimanale, potrò ritenermi soddisfatto della scelta di essermi trasferito in Valpolicella.
Infatti, vivere in Valpolicella vuol dire anche godere di questi scorci...



Ma differentemente dai toni ameni di questa foto (che oltretutto fa da biglietto da visita a questo blog) scattata nei pressi di Santa Maria in Valena (tra Negarine e Ossan di San Pietro in Cariano), le prospettive non sono rosee. Nuova cementificazione in arrivo, a quanto pare...

Godiamoci questi scorci fin che dura(no).
E io che ho un debole per i ciliegi (ma anche per le viti e i muretti a secco) mi dovrò rassegnare a vederne sempre di meno?


Toccherà mica trasferirmi...


martedì 21 gennaio 2014

[RePost]: FRANCAmente


già pubblicato su Posterous, February 12 2012, 3:41 AM by Luca Guerreschi


Se volete farvi un piccolo regalo, piccino piccino, come una goccia di profumo che rende tutto più incantevole... leggendo l'autobiografia di Franca Valeri (edita da Einaudi).




Franca Valeri si regala e ci regala un libero dialogo su se stessa di circa novant'anni di passioni e di passione per la vita. Emerge nitido il ritratto di una donna che attraverso il teatro ha creato un bel rapporto con tutto ciò che la circonda(va), regalandosi e regalandoci personaggi indimenticabili, che nel libro fanno da contorno ad aneddoti e liberi ricordi “milanesi”, dove per “milanesi” s'intenda garbati e intelligenti, come lo sapeva essere la Milano "non ancora da bere".
Certo i pezzi del racconto, come in un puzzle, li mette insieme chi la scatola la compra e la apre, ma
sono rimasto FRANCAmente INCANTAto.


Vittorio mi ha trovato un po' inquieta, e ha deciso di sposarmi. Un matrimonio da attori. Sarò breve. A Ventimiglia, una grande chiesa un po' triste. Il prete chiede, forse presagendo qualcosa: «Avete gli anelli?». Io giro furtivamente un anellino d'oro con brillante e Vittorio va nella merceria di fronte a comprarne uno da tenda. La conclusione comica è stata di mia madre.
«Mamma, allora ci siamo sposati».
E lei: «Sei sicura che sia valido?»


Come profuma di bellezza questa stimolante, intelligente, affascinante Franca Valeri!
Non mi credete? Cedo la parola a Paolo Di Stefano, Corsera http://goo.gl/WIN4e

lunedì 20 gennaio 2014

[RePost]: Binari

già pubblicato su Posterous, May 5 2012, 10:15 AM by Luca Guerreschi


[ dedicato a tutti gli amici del #veNERDì ]


Di sera la città era particolarmente luminosa. Nonostante questo, le strade del quartiere si presentavano quasi sempre deserte. La maggior parte degli abitanti di Trastevere preferiva, dopo aver abbondantemente cenato, rimanere nelle proprie umili dimore, forse a bere un altro bicchiere o magari a fumare, di sicuro a conversare in famiglia; o al limite, i meno pantofolai – il che è tutto dire - amavano ritrovarsi in qualche locale maleodorante e possibilmente poco illuminato. Le passeggiate erano attività da signori, da benestanti. Robe da ricchi.

Ma il fumo era pur sempre fumo e Giuseppe quella sera aveva finito le sue sigarette. Fu così che salutò la moglie e uscì dalla porta, sogghignando al ricordo di tutte quelle ridicole dicerie che avevano reso leggendario, se non mitico, l'abbandono del tetto coniugale da parte dei mariti fumatori. Eh sì, dopo una giornata di duro lavoro, tra i figli dei figli che, benché quasi maggiorenni, piangono perché vogliono libertà e soldi per andare a spassarsela e la fidata moglie che, pur amorevole, dà – ahimè – la sensazione di brontolare per almeno un'altra oretta, come si fa negarsi una sigaretta? Una sigaretta non la si nega a nessuno, nemmeno al peggiore dei criminali. Raggiungere l'amico Mattia gli avrebbe permesso di rimediare a questo inconveniente e magari di rilanciare con una capatina ai “Tre Orsi”, così tanto per gradire: quella sera alla radio avrebbero trasmesso la finale di pugilato. La diretta tv era riservata ad altri sport.

Se solo non avesse “cominciato a fumare” quella sera di luglio di tanti anni prima...


[ voce alla radio ]: «Oggi, 12 luglio 1950, Tiberio Mitri, “la Tigre di Trieste” sfida “il Toro del Bronx” Jack La Motta, in un incontro valido per il titolo mondiale dei pesi medi. Signori miei, la Tigre contro il To...»


Improvvisamente per Giuseppe i ricordi si fecero confusi e ricomparve in lui quella strana sensazione. Tutto ciò che era appuntito sembrava penetrargli la retina; i suoni raggiungevano ovattati le sue orecchie, quasi dando la sensazione che qualcosa nella sua testa si stesse spegnendo.


[ dall'autobiografia di Tiberio Mitri ]: «C’era fumo, faceva caldo. Chissà se potevo rovesciare tutto. Ci provavo. Tentavo. Senza armi contro il Toro. Nella mischia senza risparmio, incassavo, colpivo. L’ho cercato e voluto io questo incontro e adesso vado fino in fondo …»


Giuseppe provò a reagire a quella sensazione di stordimento. Mattia gli avrebbe presto aperto la porta di casa, se solo fosse riuscito a percorrere il mezzo isolato che ancora mancava.


[ voce alla radio ]: «Mitri perde molto sangue dal sopracciglio sinistro, barcolla irreparabilmente, ma sembra resistere in modo eroico agli attacchi del Toro del Bronx, ai suoi colpi duri come pietre. Riuscirà ad evitare il K.O.?! Mancano solo due ...»


Il risveglio all'ospedale non fu dei migliori. Mattia aveva vegliato tutta la notte, dopo averlo soccorso. Giuseppe fu stupito, ma non più di tanto, di non vedere Elsa accanto a lui. Stava sicuramente preparando la colazione per i nipoti, prima che andassero scuola. Se non ci fosse stata Elsa ...


[ Il Messaggero, 13 luglio 1950 ]: «Accecato dalla gelosia per il comportamento disinibito della moglie alla disperata ricerca di un contratto cinematografico a Hollywood, il pugile Tiberio Mitri avrebbe affrontato La Motta distratto e nervoso.»


Era stato un febbraio freddo. Elsa lo aveva sempre aiutato a superare i momenti più difficili della sua vita. Ma adesso che, alle soglie della pensione, lei non gli era accanto in questo ulteriore momento di prova, il suo senso di smarrimento sembrò improvvisamente trasformarsi in qualcosa di terrificante.


[ dall'autobiografia di Tiberio Mitri ]: «Molti avevano trovato scuse per le mie sconfitte incolpando situazioni e persone vicine a me, ma io no. Mai. Bisogna essere onesti con se stessi. Me stesso. Non ce l’avevo fatta a superare ostacoli più grossi».


Un brivido gli corse lungo il braccio destro, risalendo fino alle spalle. Poi, finalmente, Giuseppe si addormentò profondamente, e non a tratti, come lungo tutta quell'infernale nottata... Il tifo era indiavolato e lo zio Franco non si era accorto di quanto abilmente lui gli avesse sottratto l'ultima sigaretta ... Eh sì che lo zio era stato molto chiaro su quella faccenda del fumo ... Al risveglio, non ci fu più bisogno dei sedativi; quella strana sensazione non ricomparve più, almeno per qualche giorno.


La prima volta a nove anni fu terribile. Lo zolfanello gli sfuggì di mano, subito dopo aver preso fuoco: la capocciata rimediata sotto la tavola dell'osteria fu memorabile. Del resto fu l'ultima volta che vide zio Franco, anche se qualche anno dopo ebbe modo di visitare la cella che aRegina Coeli era stata del fratello di mamma. L'irruzione della polizia, quella sera, fece piazza pulita di molti dei delinquenti tra i più scatenati della zona.


Nel 1954 il boxeur divorziò da Fulvia Franco e nel maggio dello stesso anno riconquistò il titolo europeo in maniera rocambolesca, stendendo dopo pochi secondi con un poderoso sinistro l’inglese Randolph Turpin (uno dei pochi pugili ed essere riuscito a battere “Sua Maestà”, Ray Sugar Robinson).
Ma furono soltanto gli ultimi fuochi di una gloriosa carriera.
Mitri non riuscì mai più a tornare il campione invincibile dei tempi d’oro. Appese definitivamente i guantoni al chiodo nel 1957 con un score di tutto rispetto: 101 incontri disputati con 88 vittorie, 7 pareggi e solo 6 sconfitte.
Ancora giovane e famoso, sfruttò la sua notorietà tentando di riciclarsi nel cinema e nei varietà televisivi. Recitò ne “I soliti ignoti” con Totò e ne “La grande guerra” al fianco di Vittorio Gassman e Alberto Sordi. Ma dal 1975 in poi anche la sua avventura come attore terminò quasi del tutto. Le foto in posa da boxeur sbiadirono, i soldi terminarono, la gloria svanì.

[ Almanacco del Pugilato ]: Poco prima di morire, un cronista gli chiese di parlargli dell’incontro di New York. Il vecchio Tiberio, con la mente ormai offuscata dagli anni e dalle botte, rispose sorpreso: «Jake La Motta? Questo nome non mi dice niente.»


Alle sette del mattino del 12 febbraio del 2001, sarebbe cominciato per Giuseppino Canapone l'ultimo giorno di lavoro su quella linea così trafficata.

Alle sette del mattino del 12 febbraio del 2001, il treno Roma-Civitavecchia travolse all’altezza di Porta Maggiore un uomo dall’aspetto trasandato, di circa settant’anni, pantaloni grigi, camicia bianca e un cappello beige. Già sfigurato prima dell'impatto, il volto di quell'uomo, visto camminare in stato confusionale lungo i binari, ai suoi primi soccorritori non disse niente. Il cadavere giunse verso mezzogiorno all’obitorio di Roma, dove gli venne applicato un cartellino con la scritta “sconosciuto”.

Giuseppe era sempre il primo ad accorrere sui binari nei casi di emergenza. Invece trascorse quella mattina in un anonimo letto d'ospedale, senza dire niente. Nulla lo sembrava sfiorare. Quando si svegliò nel pomeriggio, gli infermieri stavano discutendo di un film visto la sera precedente, nel quale quell'attore famoso tanto caro a Scorsese era stato capace di incredibili trasformazioni. Dal canto suo Giuseppe, pensò di continuare a preferire la radio. Quando la accese, il radiogiornale delle 17.30 stava finendo di comunicare che un'ordinanza del Ministero della Sanità aveva intensificato su tutto il territorio nazionale la sorveglianza della malattia di Creutzfeldt-Jakob, patologia meglio nota come “morbo della Mucca Pazza”.



domenica 19 gennaio 2014

[RePost]: LA PASSIONE COME ANTIDOPING

da Twitter - Alberto.Microsatira ‏@Microsatira
Ogni giorno un ciclista si sveglia e sa che dovrà andare in fuga dai controlli antidoping.

Sì, è così, al punto che su Wikipedia è in aggiornamento Casi di doping nel ciclismo.

Leggere tutto ciò ha fatto scattare in me il bisogno di pubblicare qualche riga sul doping. Ora, in questo blog mi piace scrivere di tutto, ma sarebbe presuntuoso pensare di poter essere onnisciente, o ancor peggio di erigermi a tuttologo. Mi sono perciò affidato a chi il ciclismo lo conosce meglio di me, ma soprattutto lo ama perché, pur lontano dalle vette del professionismo, lo pratica con grande passione e buoni risultati.

Le vette son sempre vette e MarcoGGì (così lo ribattezzo nella versione web) ci proporrà degli spunti molto interessanti, scritti di getto, ma molto lucidi. L'istinto e la lucidità sono le doti del ciclista e di ogni vero uomo che sa quanto ogni giornata sia una cima sulla quale ci aspetta il traguardo più bello: la soddisfazione di aver vinto anche senza arrivare primi.

"Meglio puntare sulla passione”

(a cura di Marco Guerreschi)

Il doping nello sport, ed in particolare nel ciclismo, c’è sempre stato e (purtroppo) sempre ci sarà. Non è disfattismo, né un pretesto per legittimare il doping o per arrendersi: è una semplice constatazione di fatto.

Fin dai tempi del ciclismo eroico (inizi del '900) i ciclisti si aiutavano come potevano (leggi “pastiglie e bevande strane”). Forse fanno più tenerezza i “pionieri” di allora, perché non c’erano certo i ritrovati scientifici e le strumentazioni di adesso (epo e affini, macchine iperbariche “portatili” consentite in Francia ma vietate in Italia, etc.); erano atleti più inconsapevoli di quello che prendevano e oltretutto più esposti a rischi, sottoposti a sforzi ben diversi (giri d’Italia e di Francia con tappe di oltre trecento chilometri, seppur con intervalli tra una tappa e l’altra); insomma, le gare in linea superavano sempre i 250 km ed erano corse su strade prevalentemente sterrate, affrontate con biciclette dallo scatto fisso o come minimo senza i rapporti di adesso; le bici stesse pesavano almeno il doppio, l’assistenza tecnica era rigorosamente “fai da te”; si prendevano molti meno soldi di adesso (n.d.r. le combines potevano anche pittorescamente riguardare polli o vestiti), ma tant’è, per quanto “comprensibile”, l’imbroglio rimane.



Oggi, invece, la scienza e la tecnica hanno fatto notevoli passi avanti: il ciclismo è diventato più umano rispetto ad una volta e, se si è bravi, garantisce anche una certa fama e dei bei soldi. Quindi è diventato più importante vincere e di conseguenza anche il doping si è evoluto. Forse per questo chi imbroglia ci sta ancora più antipatico, ma secondo me non bisogna assolutamente arrendersi.

A me il ciclismo piace, ma soprattutto mi appassiona, e qualunque scandalo non mancherà di farmelo seguire. Le persone cambieranno, ma la bici e i luoghi nei quali può arrivare restano, anzi, se ne scoprono sempre di nuovi, sempre più belli: nuovi arrivi per i ciclisti e nuove mete per i ciclo-amatori (“rectius” ciclismo-amatori!).

Se pensiamo ai ciclisti famosi coinvolti in casi di doping per sostanze più o meno note (epo, caffeina, cannabis, diuretici, clenbuterolo) o di valori sballati del sangue (ematocrito), del passaporto biologico, o accusati di frequentazioni con personaggi discutibili, in particolare medici e rivenditori di sostanze dopanti, sono stati davvero tanti (uno per tutti il grande Merckx squalificato dal Giro d’Italia del 1969 perché trovato positivo ad uno stimolante, la fencamfamina); alcuni sono poi stati riabilitati dai tribunali, dalla strada (Merckx appunto) o dalla storia; altri no, altri non lo sappiamo ancora e forse non lo sapremo mai e il dubbio resterà per sempre. Tuttora ci sono ciclisti che gareggiano con un certificato medico che giustifica certi possibili valori anomali.

Ma questo, per quanto mi riguarda, non mi toglierà il piacere di andare in bicicletta, né di guardare il ciclismo in tv, finché ci saranno gare e ciclisti che competono, a costo di subire grandissime delusioni. Perché la passione è più forte.
D’altra parte comprendo coloro i quali, invece, a causa di tutti questi scandali, sono portati a non crederci più e a dire basta con il ciclismo praticato o visto in tv; comprendo, ma vorrei che anch'essi, come tutti i ciclisti puliti che si vedono battuti e staccati da “imbroglioni”, non cedessero e continuassero ad amare la bici. Se vanno avanti i ciclisti che faticano tantissimo e in media guadagnano poco, e certo meno che in altri sport (almeno i gregari onesti e puliti, considerando che il minimo salariale per un ciclista professionista è di 36.300 euro lordi e che durante la gara non si sta in panchina, ma si deve fare comunque tutto il percorso, anzi meno si è bravi più si fatica), non meritano forse di essere seguiti?






"Fortebraccio”


“In autunno il rumore di una foglia che cade è assordante perché con lei precipita un anno”
(Tonino Guerra)
Certo Lancia Fortebraccio, ovvero Lance Armstrong, non è proprio una foglia, ma nell'autunno del ciclismo ci siamo entrati, eccome.

Ed il tonfo è stato davvero assordante: ormai in America la sua fondazione viene soprannominata liestrong (grandissimo imbroglio), anziché livestrong.

All'epoca dei fatti, in quasi tutti i giornali sportivi e non, untrafiletto o una mezza pagina non sono mancati. Credo, perciò, che ognuno abbia avuto occasione di leggere qualcosa e di farsi una propria idea.

Ritengo che Lance Armstrong abbia imbrogliato e parecchio, ed è difficile, anzi impossibile, credere che tutte le persone (ciclisti, dirigenti e compagni di squadra, segretarie e impiegate) che hanno reso testimonianza contro di lui abbiano mentito, insomma, si siano inventate circostanze, fatti e luoghi così precisi e concordanti tra loro.
Sembra proprio che tutte le sette vittorie al Tour de France e le altre corse, anche precedenti (compreso il Mondiale di Oslo del 1993 e la vittoria di tappa al Tour de France del 1995 dedicata al compagno Fabio Casartelli, morto pochi giorni prima nella discesa dal Portet D’Aspet), siano state falsate dal doping.

Detto queste mi sorgono tante altre domande e dubbi.
Ma ha imbrogliato solo lui?
Come mai in oltre quattrocento (!!!) controlli antidoping non è mai stato trovato positivo?
Perché si sono accaniti così tanto con lui e non con altri?
Possibile che non ci siano altri ciclisti dei quali siano stati conservati i campioni da andare ad analizzare nuovamente?
Non è forse vergognoso che quasi tutti i ciclisti che hanno accettato di collaborare e testimoniare siano stati squalificati per soli sei mesi (e proprio in questo periodo di pausa invernale), così da poter tranquillamente riprendere a marzo/aprile, facendo addirittura la figura di quelli bravi?
E che dire dei loro comunicati stampa, redatti quasi in fotocopia, tramite i quali chiedevano scusa e si cospargevano il capo di cenere ?

Certo... proprio quelli che di fatto l’hanno osannato per anni, adesso sono tra i più grandi accusatori (compresi gli organizzatori del Tour de France... del resto, come canta Giorgia “Tu mi porti su, poi mi lasci cadere”).
Devo ammettere che non ero molto favorevole a queste indagini retroattive, operate per così tanti anni e solo nei confronti di Armstrong, perché credo che tutto vada analizzato e considerato nel suo contesto e soprattutto con uniformità. Si dovrebbe,pertanto, avere la stessa “attenzione” anche per tutti gli altri corridori, ed in tutti gli Stati (mentre in Italia basta essere indagato e nemmeno ti convocano in nazionale, in altri Stati invece sembra tutto sia lecito).
Però, tant’è... ormai le prove ci sono (eccome) e non si può certo far finta di niente. Se da un lato Armstrong non può certo pensare di sfuggire alla condanna e alla revoca dei titoli vinti, d’altro canto non dobbiamo nemmeno dimenticare che altri atleti, purtroppo, l’hanno fatta franca. Per un Armstrong scoperto e sbugiardato, tanti altri hanno bellamente imbrogliato, e non lo sapremo mai.

E non è certo finita qui. Non è che condannando Armstrong, allora, “giustizia è fatta”, perché non era certo solo lui "il cattivo": concentrandosi sul pesce grosso, tanti di quelli piccoli sono riusciti a nascondersi.
Spero, quindi, che tutto ciò serva di monito, per capire che non si può pensare di farla franca. Se si bara, si viene puniti: auspico ci sia davvero la volontà di scoprire e di punire gli imbrogli di tutti, dappertutto (anche se più volte le varie federazioni ciclistiche, le agenzie antidoping e le società che organizzano le varie corse hanno dimostrato di non andare proprio del tutto d’accordo, insomma, di non collaborare fattivamente).

Sono rimasto molto deluso dallo sportivo Lance Armstrong, mentre l’uomo e la battaglia contro il cancro rimangono un esempio per tutti. Ciò non deve ovviamente giustificare l’imbroglio sportivo. Anzi, più una persona è in grado di dimostrare spessore e coraggio, più dovrebbe essere d’esempio, in tutti gli aspetti della vita, e non approfittarne per poi nascondere la verità dietro l’immagine che si è creato. Probabilmente un tale comportamento è ancora più grave, perché così l'appassionato si sente preso in giro due volte, e la delusione aumenta.

La prima cosa che ho pensato quando è scoppiato il caso è ad un doping così esteso, sistematico, organizzato e preciso, da gettare ombre su tutto. Tutto era falso e tutto era un imbroglio! Quali sono state le vittorie pulite, quali i campioni veri negli ultimi trent’anni di ciclismo (e forse anche oltre)? Poi, come altre volte, alla fine ha prevalso in me l'amore per il Ciclismo, che è più grande dei ciclisti e del doping. Come lasciato trasparire nei titoli dei miei due pezzi, ho pensato che è meglio puntare sulla passione, vera e genuina, che non si può falsare, gonfiare o dopare.

Io continuerò a parlare di ciclismo con gli amici e con gli appassionati che avrò incontrato, continuerò a guardarlo in tv e dal vivo. Soprattutto continuerò a inforcare la bicicletta, certo di avere più soddisfazioni che delusioni, perché, per quanto qualcuno avrà imbrogliato, non mi impedirà di salire sulla sella e (il ciclismo è racchiuso tutto in questo umile verbo) pedalare.



Lettura consigliata circa “ciclismo e passione”:

- GIANNI BRERA, Addio bicicletta, Dalai Editore

mercoledì 15 gennaio 2014

[RePost] In preparazione al Giorno della Memoria

PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA: INCROCIO DI RICORDI E DI DESTINI

riadattato da Posterous, January 27 2012, 12:39 PM by Luca Guerreschi



Una donna guarda il cielo.
Così si conclude uno dei capolavori di Charlie Chaplin.


La donna, per antonomasia colei che porta la vita ed è l'angelo dell'amore, guarda il cielo in segno di speranza: è stata in contatto telepatico con Charlie Chaplin, che sotto "mentite spoglie" ha pronunciato il discorso che ha sovvertito la storia, l'orazione che ha rovesciato il male in bene, il messaggio che ha segnato la rinascita della vita e il rifiuto dell'odio.

Un paio d'anni fa un'alunna di prima media, dopo la proiezione di questo spezzone, mi raccontava che lo stesso Hitler vide l'intero il film (targato 1940): ci chiedevamo perciò come avrà mai reagito alla visione di questa e di tante altre scene, segnate dalla retorica più spinta del "comunista" Charlie Chaplin, artista capace però indubbiamente di colpire diritto al cuore.

Eh sì, perché, analogamente ad Hitler che si riteneva anche lui un artista, le sue idee politiche "Charlot" non le ha mai nascoste. Oltretutto lanciare un tale "missile", ancor prima che la guerra entrasse nella sua fase più cruenta, getta sulla retorica cinematografica una valenza quanto meno da studiare.

Infine, la mia dedica più sentita per la giornata della Memoria (due anni fa come il prossimo 27 gennaio) va e andrà sempre a Primo Levi.


Uno dei giorni più tristi della mia vita (ma me ne sono reso conto solo molti anni dopo, quando l'ho letto e studiato per bene all'università) è stato quello in cui mi hanno detto che Primo Levi ci aveva lasciato di sua volontà.
Sì, proprio per lui, perché credeva profondamente nell'etica come valore "costituzionale" dell'uomo.
Lui che aveva sperimentato l'annichilimento, sia dell'uomo sia dell'etica, in un campo polacco (che nella magica estate del 2003 ho avuto la fortuna/sfortuna di visitare) non ce l'ha fatta ad accettare, dopo tanti anni, che tutto ciò potesse avere un senso, che la vita potesse andare avanti, quasi cancellando il passato.


E' un incrocio di ricordi e di destini quello che mi assale ogni 27 di gennaio: per non dimenticare che noi (i vivi) abbiamo ancora molto da dare.

martedì 14 gennaio 2014

Sherlock lives: un uomo per tutte le “stagioni”?



The Four Seasons

Grazie alla BBC è stato possibile aggiornare le avventure di Sherlock Holmes e del dottor John H(amish) Watson alla Londra del ventunesimo secolo.
La serie, infatti, è un libero adattamento dei romanzi e dei racconti di Conan Doyle, grazie al genio di Steven Moffat, ma anche alle idee e alle interpretazioni sul campo di Mark Gatiss, con una cura, un amore e anche molto più di un pizzico di orgoglio per tutto ciò che è british.


Battersea Power Station  (London)

Strepitosa per riferimenti, citazioni e rimaneggiamenti del corpus originale di Conan Doyle, la serie Sherlock, giunta la scorsa domenica alla S(eason)03E(pisode)03, finisce addirittura per peccare di densità e frenesìa, rispettivamente nello sviluppo della vicenda e nella velocità impressa al ritmo narrativo tramite una regìa super costruita e un montaggio più che serrato.

A parte scelte narrative, ma non solo, che non possono che dividere il vastissimo pubblico degli appassionati (… ma qui non muore mai nessuno alla fine... o forse sì; Benedict Cumberbatch è adattissimo a interpretare Sherlock… ma c’è chi dice no!) è incredibile poi come gli autori ci consegnino letteralmente in mano il dibattito sul futuro di Sherlock.
Dopo avercelo “presentato” e fatto (ri)“amare” nella prima stagione, hanno stretto un legame fortissimo tra lui e Moriarty nella seconda stagione (quasi rovesciandone la prospettiva in un per me memorabile processo), interrogandosi e interrogandoci sul fatto che il problema fondamentale di un personaggio è quello di rimanere vivi (per garantire fin dai tempi di Don Chischiotte, anche lui redivivo, soldi e felicità a tutti, cioè a chi scrive e a chi legge).



Certo nella vita dopo la stagione della nascita, c’è la stagione della crescita, indi arriva quella della vecchiaia e… dell’abbandono.
Così i toni di dolore, sofferenza e morte sembrano farsi sempre più forti in Sherlock: speriamo solo che non siano spezzati da troppe improbabili resurrezioni (rentrées molto indicate – credo – tanto a indispettire il lettore/spettatore quanto a rilanciare la trama, recuperando così tanto l’eroe quanto il suo pubblico) ma piuttosto da un congedo il più sereno possibile (e non per forza imbonitore)... anche senza l’aiuto della morfina.

Lo sanno bene gli appassionati di serieTv : i giudizi sui finali di stagione (per non parlare di quando la stagione è l’ultima) sono di diritto i più implacabili e feroci.
Spero, insomma, quando si sarà compiuto il mio congedo da Sherlock, che non mi ritroverò a rimpiangere uno spin-off o l'abbandono a qualche parallela serie tv, o addirittura il ricovero in un nostalgico passato. Sopravviverà Sherlock anche a tutto questo?



Distruggere o farsi distruggere: un'eventualità dovrebbe precludere l'altra.
Elementare!
Ma non troppo a quanto pare.
Cosa direbbe (dalla sua di tomba) Conan Doyle, l'oste con il quale ci dimentichiamo qualche volta di fare i conti?

"Resuscitate me, grazie! In tutti questi anni mi son venute in mente un sacco di nuove avventure!".

#ConanDoyleLives

lunedì 13 gennaio 2014

Per leggere dall'inizio alla fine (dell'anno)


Lèggere, lèggere, lèggere.
Cari amici, che leggete queste righe, in questo 2014 vi esorto a... lèggere!


Dall'inizio


alla fine di un libro


c'è un mondo tutto da scoprire. E come vedete, grazie a questa veloce incursione nel mondo di Twitter, è anche cambiato il modo di lèggere.

Ora non resta che creare il proprio di percorso: non importa se ai nastri di partenza avrete magari piazzato "I love shopping" (come potrebbe osare mia sorella) o "Madame Bovary" (come me).
Intanto così sarà più facile polemizzare (fraternamente!) su quali libri vadano letti, ma soprattutto sarà possibile garantire lunga vita a un decalogo che, subito dopo quello biblico, merita anch'esso il nostro rispetto e il nostro ossequio.



E buone letture!

Luca

PS: In tal senso, chi vuole commenti qui sotto le proprie letture... così posso polemizzare (amichevolmente!) un po' con lui.

venerdì 3 gennaio 2014

Prendere il 2014 con... FILOSOFIA!

Torno a scrivere, dopo qualche mese, per rivolgere, a chi avrà la pazienza di leggermi, i miei personali e tutt'altro che formali auguri di buon principio.

Dopo quello che per alcuni è stato il “duemilaecredici”, per altri l’ennesimo anno nel quale poco è cambiato o molto è rimasto tale, insomma dopo un anno che doveva essere – almeno  a sentire gli auspìci del precedente Capodanno 2013 - di forte ripresa, ecco arrivare il duemilaequattordici.




Cent'anni fa scoppiava la Grande Guerra, cinquant’anni fa l’Italia si ammodernava e sessant’anni fa nasceva la tv nostrana.
E oggi?
C’è chi inizia l’anno con il tradizionale elenco dei buoni propositi e dei progetti personali, c’è chi in modo più o meno convinto si affida agli oroscopi, c’è chi ripercorre gli avvenimenti principali del duemilaetredici e si mette le mani tra i capelli: io credo invece che bisognerà a tornare ad affidarsi alla filosofia.




Un po’ come Boezio che per vivere meglio la decadenza dell’Impero scriveva il De consolatione philosophiae, un po’ come Spinoza che suggeriva di guardare il mondo sub specie aeternitatis, la filosofia potrebbe rappresentare sempre di più il rifugio sicuro per affrontare uno spirito dei tempi (Zeitgeist) sempre più problematico o quanto meno ingarbugliato.
Così mi sto letteralmente godendo la lettura in ordine inverso della trilogia





di un autore stra-or-di-na-rio, convincendomi sempre di più che trovare il filo rosso della propria vita, anche grazie alla filosofia, rimanga un bell’aiuto per dipanare la matassa (di cui sopra).


Altrimenti, cari lettori del blog, provate a cambiare completamente strada, campo d’indagine e atteggiamento, e giocate le vostre carte sul ritorno al passato. Anche questa sembra essere una delle aspirazioni tra le più cullate in questi ultimi (capo d') anni…



E naturalmente, buon 2014!!