Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

lunedì 10 febbraio 2014

Con il tempo e con la paglia...


Poco più di un anno fa, a fine estate 2012, sembrava affermarsi sempre di più un nuovo termine inglese. Ricordate le questioni sull'utilizzo di "choosy", nel significato di 'difficile da accontentare, schizzinoso', sfruttato dai media per fotografare i giovanissimi e i giovani italiani?
Insomma, dopo il tempo dei "bamboccioni", rilanciato dal compianto Tommaso Padoa Schioppa, e passando poi attraverso i tempi della crisi scoppiata nel 2008, senza però dimenticare la cultura vintage legata "tempo delle mele" ("La boum" francese, ovvero l'adolescenza che si scatena), ecco un rinnovarsi di terminologie (ma anche di dati, ahinoi...) atte a sottolineare un'apparente inadeguatezza delle nuove generazioni.





















E se fossero invece gli adulti sempre meno abili a trovare la chiave giusta per interpretare il presente e perciò sempre più incapaci di essere punto di riferimento e guida per i più giovani?

"Con il tempo e con la paglia maturano le nespole" recita un celebre adagio, derivante dall'uso contadino di far maturare a lungo tali frutti (che non possono essere mangiati appena raccolti) in contenitori ricoperti di paglia.




Occorre aver pazienza con i giovani e prima o poi la soluzione arriverà. Meditiamo, "grandi", meditiamo.

sabato 8 febbraio 2014

Il leone della Valpantena

Ci sono lungadigi e lungadigi.
Mi riferisco a Verona ovviamente, visto che anche trentini e polesani potrebbero avere voce in capitolo.
In provincia è meglio parlare di "alzaie" se l'argine è ancora naturale, come ad esempio in bassa Valpolicella; in città, invece, ci sono lungadigi intitolati alle cose, come ad esempio (tra i vari) le Rigaste (Redentore e San Zeno), toponimo di etimo discusso che probabilmente ricorda i pali che impedivano ai canali secondari, alle rogge insomma, di essere invasi da materiali sgraditi trasportati dalla corrente fluviale. Ci sono poi lungadigi intitolati alle persone più o meno famose, come ad esempio (tra le varie persone, in questo caso, meno famose) lungadige Bartolomeo Rùbele, che collega due storici ponti cittadini: ponte Nuovo, già ponte del Popolo, e (il) ponte (delle) Navi, nei pressi della vecchia dogana cittadina.

La storia di Bartolomeo Rùbele prima o poi dovevo raccontarvela, perché è una di quelle storie che se la leggi a diciotto anni e sei ancora alla scoperta di segni della presenza del passato in città, non ti può che rimanere impressa. Un po' come le scorrerie dei giovani Angelo Dall'Oca Bianca e di Berto Barbarani in una Verona di fine Ottocento, primi Novecento che cominciava a modernizzare il suo volto tutto conventi e caserme.
Dopo tanto tempo, la storia era rimasta lì, in archivio, finché Jacopo Prisco...
... non mi ha fornito l'occasione per ricordare e di fare un salto ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1757, quando in mezzo a ponte Navi campeggiava una torre e le piene dell'Adige non erano ancora state arginate (in modo speriamo definitivo) dai possenti muraglioni che hanno appunto permesso la nascita del toponimo "lungadige". Era la Verona veneziana dei "molinari" e di tanti altri umili lavoratori come l'operaio della dogana Bartolomeo Rubele, nativo della Lessinia.

Questa è la sua storia, storia che fonti più...

Nel 1757 una grossa piena l'avea travolto el ponte isolando la tore che colegàa le do arcade. Du done e du buteleti restà imprigionadi nel ponte i ris-ciava de negàrse, ma un fachin dela Dogana, Bartolomeo Rubele, el s'à butà nel' Adese con l'aiuto de soghe e sigagnole l'è riussì a salvarli. El popolo in festa l'à volù donarghe un bel mucio de schei, rifiutadi dal Rubele (soranome el leon dela Valpantena). A quel eroe ghe stà intitolado un lungadese.


... o meno recenti ci raccontano.

Nella torre ormai isolata e pericolante fra i vortici erano rimaste due donne e due fanciulli. Benché si facessero offerte di denaro, nessuno osava esporsi al pericolo, anche per la quasi impossibilità di appoggiare scale. Giunto a caso, Bartolomeo Leone detto Rubele si offrì; unì con corde le scale, gettò spago e funi nella torre, perché le donne aiutassero a tirare e poi assicurassero la scala: ottenuta da un sacerdote l'assoluzione, sale intrepido, benché le scale pieghino per rilassamento delle corde: giunge alla torre, benda gli occhi alle donne e legatele sui fianchi, tiene stretta la fune e le fa scendere ad una ad una. Poi mette i singoli fanciulli in doppio sacco e li cala con le corde tenute all' altro capo da qualcuno verso San Paolo. Scende salvo, ricusa il premio offertogli dal conte Spolverini e sfolla applaudito. Verona riconoscente gl'intitolò il Lungadige destro dal ponte Navi al Nuovo, dirimpetto a quello del re Teodorico. Giulio Sartori dipinse il fatto su una tela che si conserva malandata al museo.


I veronesi hanno sempre avuto un cuore grande così, o almeno così io li vorrei raccontare e ricordare.


Però, ricordatevi - e concludo - ci sono lungadigi e lungadigi...



lunedì 3 febbraio 2014

Sempre in gita

Nella scuola è periodo di scrutini.
In occasione del primo giro di boa, il primo quadrimestre, vengono stesi i primi bilanci, si operano le prime somme, nell'ottica di aggiustare il tiro e di raddrizzare la barca.
Ciò si è sempre fatto e si continuerà a fare, sempre che i tagli ai fondi d'istituto non comincino ad arrivare così in profondità da intaccare anche le attività intrinseche e più strettamente collegate alla funzione docente.

Ciò che invece è cambiato negli anni è il clima in classe.
In verità in aula l'insegnante non ha vita facile...



... ma tutto sommato si trova a suo agio. Ormai sa come difendersi, nel caso che viva la lezione come una guerra; sa come muoversi, nel caso viva le ore di lavoro come una sfida; sa come intrattenere, nel caso viva il rapporto con gli alunni tanto con serietà quanto con allegria. La mia impressione, però, ora che sono passato quasi inaspettatamente “dall'altra parte della barricata”, è che rispetto a una volta il clima in classe sia un po' quello di una gita lunga circa nove mesi, o meglio i poco più di duecento giorni che sanciscono la regolarità di un'annata scolastica.
Oggi le gite forse non hanno quasi più ragione d'essere. Sono costose (il trasporto soprattutto), spesso inutili (in quel luogo i ragazzi ci sono già stati, magari due-tre volte) e faticose (la sorveglianza diventa... letteralmente... di ventiquattrore su ventiquattro).

Un tempo (ego, laudator temporis acti) il cosiddetto viaggio d'istruzione era la classica valvola di sfogo, occasione mediante la quale si univa l'utile (la cultura, la conoscenza) al dilettevole (una migliore socializzazione con compagni e insegnanti, una maggiore libertà rispetto alla vita interna all'istituto scolastico).
Oggi, invece, sembra essere ogni giorno una gita, per quanto riguarda il concedersi o il prendersi qualche licenza.

Certi giorni, addirittura, mi chiedo se in classe gli alunni non mi scambino per un arbitro di calcio.
Guardi prof, mi sta cosando per la maglia”.
E io non so più se tirare fuori il cartellino giallo, fischiare simulazione, o cogliere l'occasione per spiegare un po' di grammatica. Felice per il giusto uso del congiuntivo (eh sì, spesso gli alunni ci azzeccano col congiuntivo, specie quando lo sbaglia il prof) devo combattere però la mia quotidiana battaglia contro l'uso del generico 'cosa' e di tutti i suoi derivati e non cedere alla piattezza (quando non alla scurrilità) del loro lessico di alta frequenza. E poi arriva, colpo di (dis)grazia, la ricreazione in cortile, la mensa e tutto ciò che contiene il lungo elenco di compiti che do per noto.

Insomma una lenta e inesorabile mutazione genetica, con la quale Darwin e Lamarck sembrerebbero andare a nozze, anche se poi, a ben vedere, come nel film "Idiocracy" a essere premiati non sembrano proprio gli adattamenti di maggiore... qualità.

attivare i sottotitoli

Ma sopravviverò e cercherò di fare il bravo: ve lo prometto!

venerdì 31 gennaio 2014

[RePost]: Momenti di trascurabile felicità


Riadattato da quanto già pubblicato su Posterous, #MomentiDiTrascurabileFelicità, June 24 2012, 3:34 PM


Potrebbe essere un gioco da riscoprire.

Potrebbe essere semplicemente l'occasione per scoprire meglio la personalità di quanti ogni giorno vi circondano, a casa, al lavoro, o dove preferite stare.

Quantomeno è già stato un libro di (discreto) successo.







Tali momenti di (anche non) trascurabile felicità, li raffiguro volentieri tramite una farfalla, capace di colorare e rallegrare brevemente la nostra giornata, per poi, magari, svolazzare altrove...

Ecco, dunque, un'approssimativa e (molto ma molto) rivedibile top ten in materia. Essa è nata dalla passione di alcuni amici ritrovatisi a vivere una... trascurabile... domenica in allegria.

Number Ten
Ti svegli: l'ansia, il sonno, l'insoddisfazione ti assalgono... ma... caspita... è domenica! Buon relax...

Number Nine
Sono scattati i saldi, ma tu - come al solito - ti muovi in ritardo. Ma, arrivato al negozio, scopri che c'è esattamente ciò che cerchi... e proprio della tua misura!

Number Eight
La fila per entrare allo spettacolo è lunga, ma tu hai ricevuto in omaggio uno speciale biglietto di ingresso che ti catapulta subito all'interno. Come a Gardaland! Ma lì, il biglietto, lo paghi...

Number Seven
E' di nuovo fila... questa volta per andare al bagno... Caspita, oggi la coda non c'è! Ed è subito acqua!

Number Six
Il frigo è quasi vuoto. Hai deciso che devi prima finire, a tutti i costi, quello che esso contiene da ormai troppe settimane. Improvvisamente... no, ma ditemelo prima... hai gente a cena! Incredibile: tutti mi hanno fatto i complimenti per gli ottimi abbinamenti culinari!

Number Five
Piove, guarda come piove, senti come viene giù! Cielo! Finalmente l'auto riprende un po' di... lustro!

Number Four
Pur immemore da ormai troppi anni degli insegnamenti della scuola guida, ti ricordi finalmente di utilizzare anche il freno motore per rallentare la tua corsa prima del semaforo rosso. Ed è subito verde!

Number Three
Di corsa, come al solito, perchè - vedi sopra - ti muovi in ritardo e arrivi all'ultimo minuto... all'appuntamento. Il parcheggio è strapieno. Ma non per te che di secondo nome fai... Gastone!
Number Two
Ti stai gustando una bella minestra e qualcuno ti impedisce di tirare su dal piatto. Ma provvidenzialmente suona il telefono e quel qualcuno, al(la) quale devi da ormai troppi anni ottimo cibo, vestiti lindi e stirati, nonché l'ostilità della tua dolce metà, va a rispondere, lasciandoti il campo, o meglio la tavola libera. Dedicato a chi è del cancro e vive la condanna di essere considerato un segno zodiacale mammone. 

Number... One!
E ora tocca a voi! Se avete visto anche voi passare da poco una siffatta farfalla, scrivete, per favore, nel box sottostante (quello dei commenti al post) il vostro personale #MomentoDiTrascurabileFelicità.


[click per un piccolo bonus]


martedì 28 gennaio 2014

[RePost]: ALIBI da (ri)vedere

riadattato da quanto già pubblicato su Posterous, January 14 2013, 2:17 PM by Luca Guerreschi


A tutti capita un periodo di crisi o di semplice smarrimento. C'è anche chi come me, quando è smarrito, dimentica di dire cosa ha smarrito o cosa lo mette in crisi. Potrebbe essere il semplice desiderio di trovarsi altrove?
Eh, si... alzi la mano, o si faccia avanti, chi non vorrebbe riprovare, grazie alla macchina del tempo, a correggere il tiro di qualche azione passata o a proiettarsi già nel futuro, o più pragmaticamente (senza ricorrere a vetuste o innovative tecnologie) viaggiare nel presente per trasferirsi a qualche altra latitudine (realmente o anche solo grazie a una canzone).




In latino altrove suonava alibi, che, oltre ad essere un avverbio, è un classico ingrediente dei racconti gialli e polizieschi.





Forse la vera questione da affrontare, per uscire con un minimo di ottimismo da questi ultimi anni per certi versi molto difficili sia nel privato che nel pubblico, è però un'altra.


La cultura degli alibi



A tal proposito ci viene in soccorso un intervento (ormai un classico da vedere e rivedere) firmato Julio Velasco, il vero unico grande comunicatore del Nostro Paese: nato nella (neo)latina Argentina (molto prima di Belen Rodriguez che al massimo ci ha richiamato allo studio della perifrastica in un ormai datato spot televisivo), Julio ci ha spiegato una volta per tutte come si fa (ma davvero) a risolvere i problemi. Rimboccandosi le maniche. Facendolo bene, il proprio mestiere.







Insomma, non cercandoli, gli alibi!

lunedì 27 gennaio 2014

Faccio memoria

In questa giornata, nella quale tornano forti idee e sentimenti di un’epoca un po’ più in là, vorrei anch’io fare brevemente memoria.

Correva l’estate 2003 e la Polonia diventava per me improvvisamente più vicina: un campo di lavoro ovvero lo scavo di una buca per le tubature dell’acqua; molta amicizia ovvero un gruppo di ragazzi aggregatisi tra Roma e Verona (isola, la Sardegna, compresa); la formazione spirituale ovvero l’epoca del mio impegno parrocchiale. E alla fine di quei dieci giorni di divertimento, viaggi, lavoro duro, preghiera e comunità, sulla strada del ritorno ho fatto tappa nel paese delle betullle, Oswiecim, meglio noto come Auschwitz (più la vicina Birkenau).

Dopo la visita, in una caldissima serata d’agosto, praticamente in orario di chiusura, a quel grande blocco di concentramento, lavoro, sterminio e morte, dormimmo solo poche ore, perché il mattino successivo verso le quattro bisognava rimpatriare.

Quello che mi colpì di più non furono le immagini di morte.
Ad esse ero già preparato. Intorno ai dieci anni ricordo di aver visto insieme a mio nonno la serie di documentari americani che la Rai trasmise a fine anni anni Settanta sulle fosse comuni naziste e altre atrocità ad esse collegate; in terza media avevo letto, ma non compreso fino in fondo, la testimonianza di Primo Levi; alle superiori mi appassionai definitivamente alla storia contemporanea e ripercorsi, nelle pagine del Guarracino, gli eventi del gennaio 1945; l’università mi permise di studiare e di apprezzare fino in fondo un uomo straordinario come Primo Levi, del quale quando (come oggi, 27 gennaio 2014, a scuola con i miei studenti di seconda media) ascolto queste parole non posso che sentirmi chiamato in causa, nonché sentirlo ancora vivo (... lui che ci ha abbandonato troppo presto e male).

Senza capirne il motivo, di quel giorno ho sempre conservato il ricordo di tre cose, apparentemente scollegate tra loro. Tutte e tre ebbero però come scenario proprio quel luogo così unico al mondo: il viso preoccupato e arrossato di un’amica che aveva rotto sentimentalmente, non da molte settimane, con un mio amico; i sogni-incubi raccontati attraverso inquietanti disegni da un sopravvissuto; un cortile di Auschwitz nel quale padre Massimiliano Kolbe (uno di quei personaggi che, quando ero bambino, sentivo sempre osannare) aveva, con un gesto memorabile, incrinato per la prima volta le rigide regole e la non umanità di un lager tedesco.

La Memoria è fatta così: taglia, cuce, seleziona, associa, come neanche il migliore dei registi (forse esagero) è in grado di fare. E' allo stesso tempo un fatto personale e collettivo.
Oggi finalmente, scrivendo queste righe, mi sono dato una risposta. Per me la Memoria è una cosa viva, che permette a chi la testimonia di lasciare un messaggio di vita... come quando una nonna racconta la sua vita ad un nipote, lasciandogli più di una semplice testimonianza, lasciandogli in custodia una parte di sè... oltre ad avergli magari già garantito, proprio in quegli anni di guerra, la possibilità di nascere qualche anno dopo.

Eh sì la vita, la vita con i suoi inequivocabili e a volte indecifrabili messaggi. Giusto il contrario di quanto videro quel 27 gennaio 1945 i militari russi abbattendo i cancelli di Auschwitz.

mercoledì 22 gennaio 2014

[RePost]: Omaggio alla Valpolicella

già pubblicato su Posterous, June 14 2012, 4:14 PM by Luca Guerreschi

Finché il mio fisico, in verità non più giovanissimo, mi permetterà di continuare a praticare il mio footing settimanale, potrò ritenermi soddisfatto della scelta di essermi trasferito in Valpolicella.
Infatti, vivere in Valpolicella vuol dire anche godere di questi scorci...



Ma differentemente dai toni ameni di questa foto (che oltretutto fa da biglietto da visita a questo blog) scattata nei pressi di Santa Maria in Valena (tra Negarine e Ossan di San Pietro in Cariano), le prospettive non sono rosee. Nuova cementificazione in arrivo, a quanto pare...

Godiamoci questi scorci fin che dura(no).
E io che ho un debole per i ciliegi (ma anche per le viti e i muretti a secco) mi dovrò rassegnare a vederne sempre di meno?


Toccherà mica trasferirmi...