Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

sabato 8 febbraio 2014

Il leone della Valpantena

Ci sono lungadigi e lungadigi.
Mi riferisco a Verona ovviamente, visto che anche trentini e polesani potrebbero avere voce in capitolo.
In provincia è meglio parlare di "alzaie" se l'argine è ancora naturale, come ad esempio in bassa Valpolicella; in città, invece, ci sono lungadigi intitolati alle cose, come ad esempio (tra i vari) le Rigaste (Redentore e San Zeno), toponimo di etimo discusso che probabilmente ricorda i pali che impedivano ai canali secondari, alle rogge insomma, di essere invasi da materiali sgraditi trasportati dalla corrente fluviale. Ci sono poi lungadigi intitolati alle persone più o meno famose, come ad esempio (tra le varie persone, in questo caso, meno famose) lungadige Bartolomeo Rùbele, che collega due storici ponti cittadini: ponte Nuovo, già ponte del Popolo, e (il) ponte (delle) Navi, nei pressi della vecchia dogana cittadina.

La storia di Bartolomeo Rùbele prima o poi dovevo raccontarvela, perché è una di quelle storie che se la leggi a diciotto anni e sei ancora alla scoperta di segni della presenza del passato in città, non ti può che rimanere impressa. Un po' come le scorrerie dei giovani Angelo Dall'Oca Bianca e di Berto Barbarani in una Verona di fine Ottocento, primi Novecento che cominciava a modernizzare il suo volto tutto conventi e caserme.
Dopo tanto tempo, la storia era rimasta lì, in archivio, finché Jacopo Prisco...
... non mi ha fornito l'occasione per ricordare e di fare un salto ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1757, quando in mezzo a ponte Navi campeggiava una torre e le piene dell'Adige non erano ancora state arginate (in modo speriamo definitivo) dai possenti muraglioni che hanno appunto permesso la nascita del toponimo "lungadige". Era la Verona veneziana dei "molinari" e di tanti altri umili lavoratori come l'operaio della dogana Bartolomeo Rubele, nativo della Lessinia.

Questa è la sua storia, storia che fonti più...

Nel 1757 una grossa piena l'avea travolto el ponte isolando la tore che colegàa le do arcade. Du done e du buteleti restà imprigionadi nel ponte i ris-ciava de negàrse, ma un fachin dela Dogana, Bartolomeo Rubele, el s'à butà nel' Adese con l'aiuto de soghe e sigagnole l'è riussì a salvarli. El popolo in festa l'à volù donarghe un bel mucio de schei, rifiutadi dal Rubele (soranome el leon dela Valpantena). A quel eroe ghe stà intitolado un lungadese.


... o meno recenti ci raccontano.

Nella torre ormai isolata e pericolante fra i vortici erano rimaste due donne e due fanciulli. Benché si facessero offerte di denaro, nessuno osava esporsi al pericolo, anche per la quasi impossibilità di appoggiare scale. Giunto a caso, Bartolomeo Leone detto Rubele si offrì; unì con corde le scale, gettò spago e funi nella torre, perché le donne aiutassero a tirare e poi assicurassero la scala: ottenuta da un sacerdote l'assoluzione, sale intrepido, benché le scale pieghino per rilassamento delle corde: giunge alla torre, benda gli occhi alle donne e legatele sui fianchi, tiene stretta la fune e le fa scendere ad una ad una. Poi mette i singoli fanciulli in doppio sacco e li cala con le corde tenute all' altro capo da qualcuno verso San Paolo. Scende salvo, ricusa il premio offertogli dal conte Spolverini e sfolla applaudito. Verona riconoscente gl'intitolò il Lungadige destro dal ponte Navi al Nuovo, dirimpetto a quello del re Teodorico. Giulio Sartori dipinse il fatto su una tela che si conserva malandata al museo.


I veronesi hanno sempre avuto un cuore grande così, o almeno così io li vorrei raccontare e ricordare.


Però, ricordatevi - e concludo - ci sono lungadigi e lungadigi...



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