Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

venerdì 2 gennaio 2015

ANDIAMO AL CINEMA - American Sniper

Clint Eastwood ha sempre avuto il dono della sintesi, fin dai tempi in cui si cominciavano ad enfatizzare le sue due (uniche) espressioni...


Le sue pellicole - sembra non perdere mai un colpo il Nostro... come quando era lui a sparare con la colt - sono caratterizzate da una regia asciutta (uso parsimonioso della slow motion e di soluzioni enfatiche in genere), essenziale (senza cercare l'accumulo), dove tutto scorre linearmente (distinguendo bene tempi e spazi della vicenda), là verso il punto esatto in cui già sappiamo il buon vecchio Clint vuole arrivare. Eppure la tensione drammatica non cala e il suo cinema (anche se non tutti i suoi film fanno gridare tutti al capolavoro) non delude.

Detto questo, reduce dalla visione estiva in solitaria di "Jersey Boys" (i grandi registi amano ogni tanto girare film più cari a loro che al pubblico), visione dettata più dalla mia simpatia per le canzoni di Frankie Vallie che dal mio grande dichiarato amore per Clint (e poi dove mai lo trovavo a luglio qualcuno che venisse con me a vedere un film sui Four Seasons?) mi sono immerso, questa volta in fidata compagnia, nella visione di American Sniper.


Provando ad essere essenziale a mia volta...
La storia (vera e già ben nota) è quella di un soldato americano inviato in guerra nel corpo dei Seals, divenuto sul campo (o meglio sui tetti iracheni) un implacabile e ricercatissimo cecchino.
Clint Eastwood ce la racconta ripercorrendo - come spesso gli accade - tutti i passaggi canonici del prototipo-stereotipo (archetipo?) cinematografico-sociale americano: il cow-boy, la bella ragazza conquistata al bar(asso) e gratificata con l'orso di pelouche, la famiglia come valore-rifugio incrollabile (anche se non al primo tentativo, anche non senza cigolii), la dura formazione militare (già vista in altre celebri pellicole), la guerra celebrata come lotta contro il Male, ma che ricorda tanto un videogioco.


Peccato che nella guerra vera il sangue non sia virtuale, che i fratelli si possano perdere anche senza che muoiano (muoiono dentro) e che i commilitoni si debbano salutare sigillando la loro bara con l'effige militare.

Navy Seal logo

Chris Kyle è un eroe americano come lo erano stati il Walt Kowalski di Gran Torino e altri personaggi usciti dalle inquadrature di Clint, un uomo che affronta, ben determinato a vincerli, tutti i suoi duelli, ma che deve cedere di fronte a quello che è il filo rosso del film, ovvero la violenza (contro di lei non esci mai vincitore). Tale tematica marca inevitabilmete il finale (lo "scorrimento", seppur questa volta in immagini originali d'archivio e in senso inverso lungo una strada, mi ha richiamato in qualche modo Gran Torino). E come non pensare, in fondo, ai tanti attuali episodi di squilibrio che sembrano ormai quasi impossibili da sradicare dalla società americana, una società che mi sembra produca alla fine più sterminatori che eroi... una società forse incapace di liberarsi dei suoi mostri.


A mio parere, fin che un padre continuerà a portare il proprio figlio a caccia e ad usare le armi in tutto quello che fa (nel fare l'amore, nel dare la morte) probabilmente la bandiera americana continuerà a sventolare, ma sarà parimenti (o forse ancor più) destinata a ricoprire bare e, pur nella commozione e nel rispetto/riconoscimento generale, ad essere ripiegata nelle mani di afflitti familiari.

"Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani pastore". Grazie a Clint, che su questa frase ha modulato American Sniper, il dibattito è aperto. E' ancora il tempo del sergente York?


Nessun commento:

Posta un commento