Il paesaggio è lo specchio dell'anima, ma non sempre l'anima mostra il lato migliore. Proverò a infilare in questo blog le cose migliori e più interessanti che mi sono capitate.
Lettura curiosa e agevole quella che ci propone Giorgio Sbrocco, direttamente dal mondo della palla ovale, sport sempre più da scoprire e riscoprire per lo spirito e per l'essenzialità.
Il narratore si affida a un fantomatico, ma non per questo improbabile, Sergio P(enurìa), che tocca col suo manoscritto salvato dal macero le corde di un mondo fatto di tanta quotidianità, ma anche di sano divertimento e di curiosità dietro le quinte.
<Insomma, "Diario ovale di Sergio P." è una lettura diventente, prettamente estiva, adatta all'ombra dell'ombrellone o alla fioca luce delle serate all'aperto.Un romanzo senza pretese di grandezza, proprio come il rugby che racconta.> come ha scritto un collega dell'autore.
Del resto questo sport di storie ne regala sempre tante...
"Down Under" (letteralmente "giù di sotto") è un'espressione colloquiale inglese per riferirsi all'Australia. Non tutti lo sanno, tantomeno io che l'inglese neanche lo mastico, io che da vero osso aspiro un giorno a diventare "aussie". E intanto gli anni passano... e il brodo incombe. Prima o poi dovrò pensare anch'io... più in grande!
L'Australia per me, insomma è ancora molto di là da venire, ma per fortuna ci sono Jacopo e Lisa che ogni tanto ci aggiornano. Buona lettura.
Ciao a tutti, torno a mandarvi un aggiornamento dopo parecchio tempo perché sono stato abbastanza occupato in questo periodo.Occupato ma non a raccogliere le albicocche, infatti il periodo del raccolto di questo frutto è terminato poco dopo Natale.
Per non restare oziosi ci siamo trovati un'occupazione temporanea in un'altra farm dove confezionano la frutta raccolta. Il nostro compito consisteva nel riempire le cassette con la giusta quantità di frutta (albicocche, prugne o pesche) dopo che una macchina la suddivideva per misura. Il lavoro non era troppo faticoso ma la posizione sempre chinata in avanti era fastidiosa; abbiamo apprezzato particolarmente il lavoro negli ultimi giorni perché all'esterno le temperature hanno raggiunto i 42/43 gradi. Questo lavoro ci ha colmato quella decina di giorni che avevamo scoperta tra la fine delle albicocche e la partenza per la nostra settimana on the road attorno alla Tasmania. Quindi dal 6 al 13 gennaio siamo stati a visitare questa magnifica isola.
La Tasmania è veramente un posto incantevole, soprattutto per chi come noi viene dalla piatta arsura di Victoria: l'isola è coperta di vegetazione lussureggiante e varia, i alcuni punti assomiglia a una jungla con felci alte 4 metri e altrove si respira aria di montagna con boschi di pini.
Il terreno è piacevolmente collinare con una zona montuosa nel nord est. Queste montagne, chiamate Cradle mountains, non superano i 1500 mslm ma sono stupende, racchiuse all'interno di un parco naturale ospitano un'incredibile varietà di flora e fauna.
Lì abbiamo potuto vedere un'echidna attraversarci la strada e un wombat dormire a lato del sentiero.
I panorami e le attrazioni sono vari e mutano frequentemente, questo posto è veramente - come scritto sul sito di promozione turistica - "bigger on the inside"!
Abbiamo visto, fatto e assaggiato moltissime cose, ve le presento suddivise per giorno.
6/1 Arrivo a Hobart con l'aereo e sistemazione. Nulla di rilevante.
7/1 Gita a Burnie visita al parco cittadino, habitat di un particolare crostaceo di acqua dolce e alla spiaggia dove abbiamo visto i nidi dei pinguini e avvistato questi animali da distante mentre erano sugli scogli. Prima di lasciare questo posto visitiamo, dietro consiglio di un locale, Boatharbour beach con le sue sabbie bianche e l'acqua cristallina.
8/1 Dedichiamo questa giornata a visitare il sito storico di Port Arthur. Nell'Ottocento qui sorgeva la prigione... della prigione: all'epoca l'intera Australia era una colonia penale e per gli irriducibili o per chi cercava di sottrarsi alla pena qui sorgeva questa prigione. Doveva veramente trattarsi dell'ultimo gradino, costruita in una regione remota e isolata di un isola che si trova al largo di un continente (all'epoca) inesplorato, raggiungibile solo via mare e circondata da un bosco fittissimo era sicuramente vista come la punizione massima.
Per peggiorare ulteriormente le cose era stato costruito un altro edificio secondo i dettami delineati da Bentham nel "Panopticon". In questa sezione venivano rinchiusi coloro che causavano tumulto o altri problemi nella prigione principale, prigione nella quale i carcerati lavoravano come costruttori di imbarcazioni, e vigeva una serie di regole volte alla totale spersonificazione dell'individuo. I reclusi dovevano indossare, oltre all'uniforme carceraria, anche una maschera in modo da nascondere il volto e non era permesso parlare per alcun motivo. I prigionieri restavano segregati per 23 ore al giorno.
Poco dopo la costruzione di questa silent prison vi hanno costruito di fronte un manicomio, per ovvi motivi.
Port Artur è il posto più a sud che abbia visitato e manterrà il primato fino a quando non andrò (se andrò) in nuova Zelanda o Argentina. Sulla strada del ritorno ci fermiamo ad ammirare le forme create dall'erosione delle scogliere. Il Tasman arch è il risultato del crollo del tetto di una grotta costiera, Devil's kitchen è a uno stadio più avanzato e anche l'arco rimanente è crollato lasciando solo questa gola profonda una trentina di metri e sferzata dai marosi dell'oceano.
9/1 Uno dei must in Tasmania, ma secondo noi sopravvalutato, è la Wineglass bay nel Freycinet Park. Qui morbide colline coperte di vegetazione bassa degradano dolcemente nell'oceano e formano la Wineglass Bay con spiaggia bianca e acqua cristallina.
Più interessante secondo noi il panorama che si può ammirare poco più avanti sulla strada dove si trova il faro. Da questo punto in alcuni mesi dell'anno si possono anche avvistare le balene.
Invece di rientrare verso Launceston, dove pernotteremo, tramite la steada interna percorsa alla mattina seguiamo la strada costiera godendo di panorami più vari e piacevoli.
10/1 Le Cradle mountains. Come anticipato prima questo parco è di una ricchezza unica, le montagne fanno da cornice ad alcuni laghetti glaciali e tutto attorno si stende una vegetazione densa e brulicante di animali. Il parco è molto curato, al suo interno non si può circolare con la propria automobile ma ci sono autobus navetta che portano i visitatori dal parcheggio alle varie zone, i sentieri nella parte bassa sono costituiti da passerelle di legno rialzate in modo da non rovinare con il passaggio il prato.
Da qui rientriamo verso Hobart e avvistiamo un simpatico wallaby davanti alla porta della casa che vi avrebbe ospitato. Altro che gatti randagi, qui hanno i mini canguri!
11/1 Visita a Hobart dove mangiamo per pranzo dell'ottimo fish and chips a base di squalo.
Sì, per una volta le parti si sono invertite e noi mangiamo lo squalo!
Nel pomeriggio raggiungiamo in auto la cima del Mount Wellington da cui si gode di una vista senza limiti sulla zona circostante. Per noi è uno spettacolo inconsueto avere un monte di 1200 metri praticamente in riva al mare e dietro di esso solo pianura, per questo abbiamo apprezzato particolarmente la vista. Alla sera siamo andati a mangiare hamburger in un posto molto originale, ricavato in quella che semvra essere stata una zona carico scarico di camion è tutto all'aperto e ci si siede su panche di legno disposte lungo il muro. Hamburger molto buoni.
12/1 Prima di rientrare facciamo una puntatina in un caseificio dove finalmente assaggiamo del vero formaggio. Dopo più di un mese a formaggio a fette del supermercato è stato una deliziosa parentesi.
Vi lascio con qualche foto.
Ciao
Jacopo
E se non vi bastasse tra poco inizia anche la stagione ciclistica... "down under"!
In giornate nelle quali occhi, testa e cuore di tutto il
mondo sono stati catapultati a Parigi per capire come mai dopo l’abbuffata dei brindisi e degli auguri di buon anno si debba cominciare con venti morti il 2015, mi sono
interrogato anch’io, non tanto sul senso di tutto questo, che francamente ancora
mi sfugge
@lucasofri ho subito pensato all'assalto dei 3giornidelCondor ma poi mi sono reso conto che neanche il migliore dei film aiuterebbe a capire
— Luca Guerreschi (@LucaGGi) 8 Gennaio 2015
ma su quali prospettive reali abbiamo di abbassare le manifestazioni
di violenza da qui a qualche anno.
Certamente azioni eclatanti come quella dei fratelli Kouachi e di
Amedy Coulibaly aprono mille risvolti che forse nemmeno i terroristi stessi in azione
erano totalmente consapevoli di scatenare. I media hanno giustamente
sottolineato la questione della libertà di espressione, questione sulla quale ritengo che
molte parole ce le abbia rubate la giornalista Elena Loewenthal qualche giorno fa su "La Stampa".
Io vorrei, perciò, porre in primo piano la questione della violenza, a partire da una terra, la Francia, che nemmeno gli adagi e la sapienza filosofica di Voltaire hanno saputo immunizzare.
Ancora rabbrividisco al pensiero che l’obiettivo primario
potesse essere una scuola ebraica, quasi a voler esportare il peggio del
conflitto arabo-israeliano ad altre latitudini.
Insomma, l’idea che questi giovani, nati e cresciuti in Francia (almeno da
quanto mi sembra di aver capito), abbiano scelto la via del terrorismo quale strada di affermazione e realizzazione (come
potrebbe fare qualsiasi ragazzino disperato e perciò indotto da un mondo malspartito ad aspirare a ideologie di violenza) non la voglio accettare come ineluttabile. Non voglio accettare che in nome di
Allah, Gesù Cristo, Shiva o di qualsivoglia pantheon si riesca ancora a mascherare con successo la facoltà della eliminazione fisica di chi non è come me o come io vorrei
fosse.
Quando a scuola guardo in faccia i miei alunni, che mi chiedono come sia possibile uccidere in nome di Dio, vorrei poter garantire loro che ormai accadrà sempre di meno, perché sono stati già troppi i secoli alle nostre spalle nei quali tale tragica scia di morte è stata solcata; vorrei poter loro assicurare che se un ragazzo, pur tra mille difficoltà e incomprensioni, cresce alla ricerca di un'identità che non sia quella della violenza e della sopraffazione dell'altro e del diverso, una speranza di riscatto, anche minuscola, ci sia.
"La violenza delle vignette ha innescato la violenza terroristica" è insomma un teorema che non voglio avallare. Perché la logica matematica non si applica alla violenza, che è prima di tutto negazione della logica. Perchè una spirale non ha un inizio (la satira e la libertà di pensiero) e tantomeno una fine (uccidere in modo indiscriminato utilizzando armi e tecniche da combattimento).
Il senso etico di responsabilità di ognuno di noi è ciò che realisticamente può spezzare la (non) logica della violenza, a patto che non pensiamo di essere giudicati soprattutto dagli altri o da da Dio (e magari in una non ben localizzata e calendarizzata fine dei tempi) ma (primariamente e inflessibilmente) da noi stessi.
Leggere "Noi" è stata un po' una scommessa...
Incuriosito dalle ottime recensioni che avevo intravisto (insieme a qualche scena spizzicata del film tratto dal suo precedente grande successo "Un giorno") e animato dalla fiducia che sempre di più nutro per l'editore Neri Pozza, ho inserito di diritto David Nicholls nei libri da leggere durante le vacanze. Risultato? Una lettura davvero appassionante, non c'è dubbio, come confermato dal tam tam mediatico (2.0) che io stesso ho cercato di alimentare.
@NeriPozza Noi #DavidNicholls Raccontare l'amore con piglio scientifico e artistico insieme, come traspare dai personaggi stessi: enchantè.
— Luca Guerreschi (@LucaGGi) 9 Gennaio 2015
Douglas e Connie, i protagonisti, sono infatti come due poli opposti che si attraggono. Se Lui è uno che lavora con passione allo studio del moscerino della frutta, affrontando la vita con piglio e linguaggio scientifico e Lei è una ragazza londinese d'adozione, anticonformista mai banale che guarda al mondo con leggerezza e ottimismo, ci sono tutti gli ingredienti per un bel libro, non vi pare?
Dal loro incontro nasce l'Amore, quello Appassionante, insomma con la maiuscola, quello che infiamma in modo definitivo la tua vita e ti lancia a pieno titolo verso la felicità, o qualcosa che le assomiglia davvero molto. Sia solo una questione di... chimica?
Ma.. tutto è chimico. La carota è fatta di sostanze chimiche, l'insalata è chimica. Questa in modo particolare. Anche tu, Jake, sei fatto di sostanze chimiche.
Direi di no. Il tempo - si sa - forse non ti giudica, ma ti mette duramente alla prova, ridimensiona speranze ed entusiasmi; pur regalando gioie e non risparmiando dolori, non smette mai di chiederti ragione...verso dove vuoi andare e in compagnia di chi lo vuoi fare?
E sarà proprio un viaggio, un Gran Tour in Europa (quello che a partire dal Settecento sanciva la formazione dei giovani rampolli delle famiglie europee e che è alla base, anche etimologica, del... Turismo) a pesare sul destino di questa coppia, entrata non troppo improvvisamente in crisi (o in fase di meditazione, come sempre più si usa dire dire e fare al giorno d'oggi) e alle prese con il proprio unico figlio in piena trasformazione adulta.
Mi fermo qui, perchè non è bene rivelare altro di una trama che non delude e che è costruita in modo attento e bilanciato (forse troppo? mah, questione di gusti): tanti brevi paragrafi scanditi da molteplici ed evidenti parallelismi, racchiusi in sette grandi cornici, le tappe del viaggio metaforico e non dei protagonisti, paragrafi che appunto si richiamano tra loro con vari raccordi (temporali e di contenuto), proprio come quando si ordisce un abito in modo ordinato ma mai troppo prevedibile e scontato.
L'ambizione dell'IO narrante (che coincide con Douglas, lo scienziato) è quella di confessarsi alla moglie e al figlio (con tanto di esemplare e accorto riepilogo finale, che fa oltretutto da contraltare alla "lista" in sette punti iniziale)... per salvare la famiglia... per parlare di LORO e quindi (accomunando punto di vista interno ed esterno) di NOI (anche di noi lettori, che siamo disposti a stare al gioco)... per far emergere TUTTI i punti di vista, anche di chi guarda alla vita con spirito naif e non solo di chi, onnisciente o presunto tale, si pone sempre in termini di osservazione e misurazione rigorosa.
Il Viaggio, il Gran Tour, diventa così il libro stesso. E, quando si viaggia, una buona guida non guasta.
Forse è per questo che le audioguide sono così apprezzate: una voce rassicurante ti sussurra all'orecchio cosa pensare, che emozioni provare. Come sarebbe bello essere guidati da una voce del genere fuori dai musei, in ogni momento della vita.
Oppure no, basta lasciarsi andare e partire? Ma a ben vedere, ciò che più conta è che il viaggio, quando è appassionante, non dovrebbe finire mai. Forse per questo nell'ultima riga (della pagine) David Nicholls ci saluta e si congeda rilanciando io narrante e viaggio stesso.
E allora buon viaggio e - fuor di metafora - buona lettura, se ne avrete voglia. La benedizione al libro di Nick Hornby e di Jonathan Coe, gli acclamati maestri del romanzo inglese contemporaneo, farà venire anche voi la curiosità di viaggiare insieme a David Nicholls per andare alla NOSTRA scoperta?
Solo se interrogato. Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso
Starnone Domenico
Editore Feltinelli (1995), pp. 164 - collana Serie bianca
A mio parere, la Scuola la fanno soprattutto gli studenti: sono loro il centro della relazione educativa, relazione che, seppur triangolare (alunno-Scuola-Famiglia), andrebbe costruita sovvertendo i principi della geometria euclidea, in nome di modelli interpretativi meno razionali, magari più funzionali ed efficaci, per permettere ai ragazzi di essere protagonisti e non semplici "lati" o "punto di vertice" (del triangolo, ovvero spettatori) della propria formazione scolastica.
Ma poi a raccontarLa, la Scuola, in fondo sono soprattutto gli insegnanti. Delle famiglie non fidatevi. E se proprio volete udire una voce altra, rivolgetevi agli studenti, anche se loro chiedono soprattutto che la Scuola finisca il prima e il meglio possibile. Loro sì, gli studenti, hanno le idee chiare! In fondo sono quelli che a Scuola, a parte i bidelli (ma non ci sono più i bidelli di una volta... per questo la Scuola va a rotoli...), nel corso di un anno ci passano più ore di tutti.
Per la verità anche Domenico Starnone ha le idee molto chiare e le espone con stile diretto, sicuro e ... pessimista, ma condito di quel realismo che rende il pessimismo stesso qualcosa di diverso. Quasi un lamento di speranza. Il suo è perciò un libro che non piacerà a tutti, perché - diciamolo francamente - non c'è categoria più invisa nel mondo della Scuola di quella di un insegnante critico e lamentoso che cerca però di proporre qualcosa di diverso dal solito.
Infatti, Domenico Starnone, celebre scrittore e sceneggiatore, è prima di tutto un insegnante. Nel suo occuparsi a 360° di Scuola, si domanda in questo libro (che della Scuola ripercorre l'evoluzione didattica alla luce di attente e mirate letture e di una decennale esperienza sul campo) come possano insegnanti e alunni essere protagonisti di un modello diverso da quello tradizionale, che ti insegnava a rispondere solo se interrogato.
Finora il senso di un'educazione io l'avevo ritrovato solo leggendo i magnifici Fiori Italianidi Meneghello, volume nel quale si racconta l'istruzione e la formazione degli italiani durante il Ventennio, senza che poi essa abbia trovato un vero rinnovamento in altre epoche.
Stanone stesso è costantemente alla ricerca di una specificità, una specificità che in passato esisteva ed andava bene, prima a dare una forma compiuta all'Italia Unita, poi a quella Fascista.
Ma ora, dopo il Sessantotto, dopo molte Riforme scolastiche (alcune ancora da venire, in quanto Starnone pubblica poco dopo l'introduzione dei Programmi Brocca), è ancora tempo di ridiscutere, quando all'orizzonte è difficile intravedere qualcosa di veramente significativo?
Occorre infatti fare i conti, citando il prof. Massimo De Carolis, con una cultura che "nel mondo contemporaneo, diventa pubblicità". L'insegnante capace, al limite, diventa un bravo intrattenitore o, nel migliore dei casi, una fortunata eccezione rispetto alla media, tanto più se in grado di portare i ragazzi sulla strada non tanto del miglioramento fine a se stesso quanto di una scoperta delle proprie reali potenzialità e della propria personalità (seppur in fieri).
Snodo cruciale della lettura diventa perciò il confronto (di Starnone, degli studenti, di noi lettori) con il William Wilson di Edgar Allan Poe. Invitando i più curiosi alla lettura integrale del racconto per costruirsi una personale opinione al riguardo, ricordo solo che il tema del DOPPIO ben sintezza la molteplicità e la mutevolezza che, specie in età scolare, gli studenti vivono nella relazione con la famiglia, con gli insegnanti, con i compagni e (in fondo) anche con sè stessi.
Domenico Starnone in fondo il pessimismo lo predica, ma l'ottimismo lo coltiva, tanto da proporre ai suoi studenti la costruzione di una cassetta (con tanto di fori di areazione) nella quale introdurre le domande a partire dalle quali costruire una vera lezione, specialmente le domande alle quali diventa impossibile rispondere, segnale che forse sono le più importanti e decisive. Gli studenti lo seguiranno?
Che fine farà quella (ben più) grande scatola dei desideri che è, o forse meglio è stata, la Scuola?
Clint Eastwood ha sempre avuto il dono della sintesi, fin dai tempi in cui si cominciavano ad enfatizzare le sue due (uniche) espressioni...
Le sue pellicole - sembra non perdere mai un colpo il Nostro... come quando era lui a sparare con la colt - sono caratterizzate da una regia asciutta (uso parsimonioso della slow motion e di soluzioni enfatiche in genere), essenziale (senza cercare l'accumulo), dove tutto scorre linearmente (distinguendo bene tempi e spazi della vicenda), là verso il punto esatto in cui già sappiamo il buon vecchio Clint vuole arrivare. Eppure la tensione drammatica non cala e il suo cinema (anche se non tutti i suoi film fanno gridare tutti al capolavoro) non delude.
Detto questo, reduce dalla visione estiva in solitaria di "Jersey Boys" (i grandi registi amano ogni tanto girare film più cari a loro che al pubblico), visione dettata più dalla mia simpatia per le canzoni di Frankie Vallie che dal mio grande dichiarato amore per Clint (e poi dove mai lo trovavo a luglio qualcuno che venisse con me a vedere un film sui Four Seasons?) mi sono immerso, questa volta in fidata compagnia, nella visione di American Sniper.
Provando ad essere essenziale a mia volta...
#AmericanSniper Clint classico: film asciutto, ottima tensione drammatica. L'America che ben conosciamo: CowBoy, Vietnam, Iraq, squilibrati.
— Luca Guerreschi (@LucaGGi) 2 Gennaio 2015
La storia (vera e già ben nota) è quella di un soldato americano inviato in guerra nel corpo dei Seals, divenuto sul campo (o meglio sui tetti iracheni) un implacabile e ricercatissimo cecchino.
Clint Eastwood ce la racconta ripercorrendo - come spesso gli accade - tutti i passaggi canonici del prototipo-stereotipo (archetipo?) cinematografico-sociale americano: il cow-boy, la bella ragazza conquistata al bar(asso) e gratificata con l'orso di pelouche, la famiglia come valore-rifugio incrollabile (anche se non al primo tentativo, anche non senza cigolii), la dura formazione militare (già vista in altre celebri pellicole), la guerra celebrata come lotta contro il Male, ma che ricorda tanto un videogioco.
Peccato che nella guerra vera il sangue non sia virtuale, che i fratelli si possano perdere anche senza che muoiano (muoiono dentro) e che i commilitoni si debbano salutare sigillando la loro bara con l'effige militare.
Navy Seal logo
Chris Kyle è un eroe americano come lo erano stati il Walt Kowalski di Gran Torino e altri personaggi usciti dalle inquadrature di Clint, un uomo che affronta, ben determinato a vincerli, tutti i suoi duelli, ma che deve cedere di fronte a quello che è il filo rosso del film, ovvero la violenza (contro di lei non esci mai vincitore). Tale tematica marca inevitabilmete il finale (lo "scorrimento", seppur questa volta in immagini originali d'archivio e in senso inverso lungo una strada, mi ha richiamato in qualche modo Gran Torino). E come non pensare, in fondo, ai tanti attuali episodi di squilibrio che sembrano ormai quasi impossibili da sradicare dalla società americana, una società che mi sembra produca alla fine più sterminatori che eroi... una società forse incapace di liberarsi dei suoi mostri.
A mio parere, fin che un padre continuerà a portare il proprio figlio a caccia e ad usare le armi in tutto quello che fa (nel fare l'amore, nel dare la morte) probabilmente la bandiera americana continuerà a sventolare, ma sarà parimenti (o forse ancor più) destinata a ricoprire bare e, pur nella commozione e nel rispetto/riconoscimento generale, ad essere ripiegata nelle mani di afflitti familiari.
"Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani pastore". Grazie a Clint, che su questa frase ha modulato American Sniper, il dibattito è aperto. E' ancora il tempo del sergente York?
... salutiamo ripettosamente il 2014, che a sentire i media non è stato per niente positivo e che invece a sentire meglio (intendo a sentire più "direttamente", attivando il contatto diretto con le persone che conosciamo bene o con le quali abbiamo a che fare) così male non è andato... almeno "a mio parere".
Anche perché noi italiani, in fondo, ci siamo sempre accontenati di poco negli ultimi anni...
"Facciamo la rivoluzione!"
"Ecco 80 euro"
"Non c'è fretta, dai".
#2014inBreve
— Cetty D. (@ItsCetty) 23 Dicembre 2014
Ma intanto il Capodanno 2014 ci ha regalato un altro momento di più o meno innocente evasione, così ora possiamo tornare a sperare nel nuovo anno.
Io lo faccio sempre, con cautela prima di tutto, ma anche con gioia e ottimismo, che nella vita non devono mai mancare.
Anche Leopardi, che ottimista non lo era (Leopardi pessimista... non poi così tanto... è più una comoda etichetta, perché in realtà aveva il coraggio delle proprie idee e soprattutto una grandissima lucidità poetico-artistica nell'esprimerle) qualche spiraglio lo lascia aperto (grazie anche alla regia di Ermanno Olmi).
Comunque in queste ricorrenze un po' di scaramanzia non guasta. Perciò, prima di recarmi in piazza per il tradizionale brindisi e i gioiosi festeggiamenti, avendo scioccamente dimenticato di indossare qualcosa di rosso, ho cercato di rimediare con una doppia porzione di lenticchie durante l'aperitivo. Beneauguranti!!
La fredda nottata è poi proseguita a suon di musica (buona) e intrattenimento sul palco (pessimo), circondato da certe facce che... rivalutare Lombroso è un imperativo morale!
Beh, dai, auguri a tutti! In fondo, ci sono stati Veglioni ben più... paurosi!