Santa Maria in Valena (Valpolicella, VR)

giovedì 28 marzo 2013

SERIE TV 2: LA RISCRITTURA E' SERIALITA'


Nel secondo incontro di questa interessante e competente panoramica sulla serialità televisiva, l'inappuntabile relatore Simone Villani ci ha guidato con mano ferma nell'affascinante mondo dello spin-off, ovvero dei testi che nascono da altri testi.  Ecco la mia seconda – come dice il mio maestro Faramir - “blog-dispensa”.



Per dirla con Queneau, Perec, Calvino et alii dell'OU.LI.PO [ma rileggetevi, extra corso, l'imprescindibile Virginia] e per dirla con Genette, eccovi servita la TRANSFOCALIZZAZIONE, ovvero la mutazione del punto di vista.
Tom Stoppard col suo mirabile e stravagante “Rosencrantz e Guildestern sono morti”[modestamente ci avevo pensato pure io] ci aveva portato dentro la testa di questi protagonisti minori dell'Amleto, raccontando la storia del principe danese dal loro bizzarro punto di vista.

Stephen Frears ci ha mostrato il punto di vista della domestica (Julia Roberts!) Mary Reilly circa la vicenda del dottor Jeckyll e di Mr. Hyde.




Jean Giraudoux racconta la storia di Elpenor, il più che semisconosciuto marinaio dell'Iliade di Omero (ma anche òmero, come solo in parte giustamente, accentando inconsapevolmente alla greca, pronunciano alcuni mie studenti di prima media).


L'INTRIGANTE MONDO DELLO SPIN-OFF

Avete presente quando un primo piano diventa uno sfondo? No? Peccato, perché lo spin-off in fondo è tutto qui.
1974: la provincia americana, già immortalata negli American Graffiti di George Lucas (che emozione ripensare a quando, giovane e fallimentare studente sognatore, li ho visti, registrati in VHS), prende le vesti di Milwaukee in Happy Days, serie tv che figlierà per ben tre volte, con Joanie loves ChuckyLaverne & Shirley, per non parlare di (nanonano!) Mork & Mindy. Ma in fondo Happy Days fu lo spin-off di sé stesso con l'all american boy Richie Cunningham (ehilà, ehilà, ehilà: ballo sfida! - Ron Howard) centro geometrico di una serie che vedrà man mano prendere il sopravvento del giubbotto di pelle di Arthur Fonzarelli (ehi! - Henry Winkler).


All in the family “giustamente” (ovviamente secondo la perversa logica dei traduttori nostrani) italianizzato in Arcibaldo ha avuto a che fare con la nascita di The Jeffersons, che a sua volta regalarono popolarità alla domestica Florence, per poi portare al suo Checking in.
E alzi la mano chi ha mai visto la moglie del tenente Colombo (chiaro sintomo di come l'assenza possa diventare narcisismo) nella serie minore passata anche in Italia (e io ho pure un amico di nome Michele, del quale non ho mai visto la moglie e lui me ne parla sempre e comunque).

http://www.youtube.com/watch?v=SveZ6eS-H4s


PUNTATE PILOTA

Quindici stagioni per mostrare, decidere, valutare che fine avrebbero fatto i Medici (non quelli di Firenze) ma quelli di E.R., quelli di Crichton e Spielberg, regista che ha preferito portare al cinema i dinosauri anziché il dottor Carter.
Sia le “serie” (Happy Days è una serie, per le sue puntate auto-conclusive, per la sua assenza di una marcata evoluzione psicologica dei personaggi, per le sue guest-stars che aumentano lo splendore della singola puntata) che i “serial” (nei quali i personaggi evolvono fino... a morire) nascono letteralmente dal pilot, dall'episodio pilota, il numero zero per intenderci. Dicevo: i pilot nascono per decidere, stabilire, valutare, attrarre sponsor, prendere la giusta rincorsa...
L'infermiera Carol Hathaway nel pilot di E.R. - parlare con un medico vero, i diffidenti - è clinicamente morta. Ma poi - guarda un po' - viene “risuscitata”.
Naturalmente, se avessi alzato la mano in sala, l'avrei fatto per parlare di Lost e di Jack Shepard. Ma, ve l'ho detto, il relatore era inappuntabile e allora lui ci ha subito parlato di Conan Doyle che viene costretto nel 1894 a “rispolverare” Sherlock, dopo averlo lasciato morire nel 1891 presso le cascate Reichenbach (quanto avrei voluto, di nuovo, intervenire per dire quanto tutta l'ultima stagione dello Sherlock BBC sia stata splendidamente improntata sul problema I will survive di ogni protagonista e del suo strutturale legame con l'antagonista davanti ad un pubblico che guarda e che giudica).
Insomma, certe tecniche nascono da lontano. Anche Stephen King lo sapeva bene, credo. L'apporto co-autoriale del pubblico non ha insomma origini recenti e da sempre la narrazione subisce varianti a seconda dell'uditorio o del contesto sociale.
E stiamo inoltre attenti a non mescolare, e quindi a falsare, i ricordi.
Star Trek, serie tv nata negli anni Sessanta, ha generato film per il cinema più o meno recenti e diversi seguiti, ma i primi tre anni di passaggi televisivi non riscossero neanche lontanamente tutto il successo seguente.
Il pubblico, insomma, si impadronisce e trasforma l'opera da molto più tempo di quanto comunemente si pensi. In fondo ci sono aspetti narrativi, una volta toccati certi tasti, dei quali, in qualche modo, l'autore finisce per perdere il controllo.
Ma gli autori “non sono nati domani” - come diceva spesso un ruspante sacerdote ai tempi del mio servizio civile - ed essi hanno imparato (da tempo) a fidelizzare (per tempo) il pubblico verso una nuova opzione narrativa: eccovi servito il cosiddetto back door pilot, che con poca spesa anima tante speranze e attese, aprendo una nuova linea narrativa ai personaggi minori.
Molto meglio, tutto sommato, del cross-over, che spesso finisce per sapere di posticcio... con la signora Fletcher che cammina sulla spiaggia con Magnum P.I.


Voi che ne pensate?


IN CONCLUSIONE: TENIAMOCI LE MANI LIBERE

In conclusione teniamoci le mani libere, ma senza esagerare.
Il sogno di Bobby in Dallas rimane memorabile, quasi a resettare addirittura un'intera stagione: scusate, avevamo scherzato, era tutto un sogno!
Al bando gli eccessi della risurrezione, che in realtà è il problema di contratti più o meno rinnovati: quando si dice... le contingenze! E io, così, ho subito pensato allo sciopero degli sceneggiatori americani di qualche stagione fa, sciopero che ha lasciato i segni su più di qualche sceneggiatura.
Pensate, infine, al problema di non svelare un finale, di evitare la fuga di notizie, un po' come le intercettazioni telefoniche o i fascicoli secretati: già da molti anni è invalsa la pratica di girare più finali...

... più



... o meno seri.



Come dicevo, teniamoci le mani libere per andare il più avanti possibile (con le stagioni).
Ma senza navigare troppo a vista: X-files docet.


P.S. IL LETTO DI PROCUSTE

Godetevi infine, al pari di noi corsisti (l'ho trovato solo in inglese) Poison (sempre “coerentemente tradotto” con “Un peso sullo stomaco”).


Sono ventitré minuti (giusto quello deve durare una puntata, per non scalcagnare il palinsesto!) di Alfred Hitchcok, tanto per chiudere riflettendo sulle differenze tra il cinema e lo specifico televisivo (specifico che forse raggiunge il suo apice nella diretta: e io, infatti, ho recentemente passato una notte quasi insonne a vedere il Superbowl numero XLVII).
In questa bellissima serie antologica di Sir Hitch (come fantastica lo fu, in altri ambiti e per altri versi, “Twilight zone” – “Ai confini della realtà”, a volte ci azzeccano nelle traduzioni gli italiani) si incarna la “mitica” idea del letto di Procuste, del tagliare su misura.
Avere dei vincoli? No!? Ma a meglio pensarci, forse si!
La libertà, anche artistica, nasce proprio dandosi (gerundio che il mio “pio” professore del liceo aborriva) delle regole.

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